AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
LA VERSIONE DI TRUMP: “NUOVE VIOLENZE SE NON DOVESSI VINCERE? DIPENDE”
Estratto dell'articolo di Massimo Basile per www.repubblica.it
IF HE WINS - LA COPERTINA DI TIME CON DONALD TRUMP
Donald Trump non ha escluso nuove violenze nel caso dovesse perdere un’altra volta alle presidenziali di novembre. “Io non penso che avremo violenze - ha dichiarato in un’intervista al magazine Time - Se io non vincerò, lo sapete, dipende. Dipende sempre dalla correttezza di un’elezione”. La conversazione, avvenuta in due sessioni a inizio aprile, ha toccato anche altri argomenti delicati, come l’aborto e la leadership del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Parlando dal suo resort di Mar-a-Lago, in Florida, Trump ha prima minimizzato il rischio di scontri, come avvenne il 6 gennaio del 2021 a Washington, quando centinaia di suoi sostenitori assaltarono il Congresso nel tentativo di bloccare la proclamazione a presidente del suo avversario, Joe Biden. “Io - ha spiegato - penso che avremo una grande vittoria. E penso che non ci saranno violenze”. Ma pressato dal magazine, più tardi, nel corso di una telefonata Trump è apparso meno conciliante, rilanciando le accuse di brogli che avevano infiammato il dopo elezioni di quattro anni fa. “Non credo - ha attaccato - che saranno in grado di fare le cose che hanno fatto l’altra volta”.
sergeant miles assalto congresso usa (6)
L’ex presidente non ha mai accettato il risultato del 2020 né di qualsiasi altra elezione che non lo avesse visto vincere. Nel 2016 aveva accusato il senatore Repubblicano Ted Cruz di frode e chiesto la ripetizione del voto, dopo la sconfitta del tycoon ai caucus dell’Iowa, le assemblee degli iscritti. Ottenuta poi la nomination, davanti alla sfidante di allora Hillary Clinton Trump si era rifiutato di promettere che avrebbe accettato il risultato delle elezioni. Lo stesso ha fatto nel 2020 e quest’anno.
Il tycoon ha poi ribadito che, in caso di vittoria, da presidente grazierà tutti coloro che parteciparono all’assalto al Congresso e sono stati condannati. “Prenderà in considerazione il perdono?”, gli hanno chiesto. “Sì, lo farò”. “Lo farà?”. “Sì, assolutamente”. [...]
MIGRANTI CACCIATI, ALLEATI ABBANDONATI, NEMICI PUNITI: L'INTERVISTA-PROGRAMMA DI DONALD TRUMP
Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per www.corriere.it
sergeant miles assalto congresso usa
Una presidenza «imperiale» con Donald Trump che promette di governare con durezza, non più condizionato dalla macchina amministrativa di Washington (che nel 2016, quando arrivò alla Casa Bianca, non conosceva) e da un partito repubblicano ormai totalmente trumpizzato.
Mano pesante con gli immigrati clandestini per i quali ipotizza campi di detenzione ed espulsioni estese anche agli 11 milioni di stranieri «senza documenti» che da anni lavorano nel Paese. E una politica estera segnata dalla sua ammirazione per i dittatori e dal suo «isolazionismo negoziale»: l’America che non difenderà più gli alleati che, a suo giudizio, non spendono abbastanza per armarsi.
La sterminata intervista concessa da Donald Trump a Time, presentata come un programma di governo della futura amministrazione repubblicana, è, in realtà, soprattutto la conferma firmata da The Donald di due elementi già messi in luce da vari analisti politici (e scandagliati da tempo anche dal Corriere).
Da un lato la determinazione a governare nel suo secondo mandato (se sarà eletto) senza i vincoli che hanno limitato il suo autoritarismo nel primo: l’attorney general (il ministro della Giustizia), che ha sempre goduto, nella storia americana, di ampia autonomia dalla Casa Bianca, dovrà invece essere ai suoi ordini.
Verrà licenziato se non incriminerà i personaggi che Trump vuole vedere condannati. Per il resto un’amministrazione totalmente ai suoi ordini perché sarà guidata a tutti i livelli da funzionari fedeli più a lui che alla Costituzione (la cui selezione, come abbiamo scritto più volte, è già in corso).
Il secondo elemento, al quale in questa fase si deve prestare ancora maggiore attenzione, riguarda la sua strategia comunicativa nella campagna elettorale: Trump minaccia sfracelli – detenzione in massa degli immigrati, abbandono degli alleati in Europa e Asia, punizione degli avversari politici – perché è sempre stato convinto che si governa con la paura e non coi buoni sentimenti, ma anche perché ora vede i sondaggi nei quali cresce il numero degli americani affascinati dall’uomo forte, mentre la difesa della democrazia finisce in seconda fila tra le esigenze espresse da molti, soprattutto giovani.
Sulla politica estera Trump invia messaggi tarati sugli umori di gran parte dell’elettorato: non la minaccia politica di abbandonare l’Occidente al suo destino, ma il presidente-amministratore delegato dell’azienda Usa che si dice non più disposto a lasciare 40 mila soldati Usa a difendere la Corea del Sud da Kim Jong-un se quel Paese, ricchissimo e aggressivo competitor delle imprese americane, non pagherà molto di più per la protezione americana.
Stesso discorso per Israele. Trump e i repubblicani sono sicuramente dalla sua parte ancor più di Biden, ma l’ex presidente sente salire l’indignazione per il massacro di civili a Gaza e allora afferma che è giusto attaccare Netanyahu.
Quanto agli immigrati, sa che questo è il vero punto debole di Biden: lo sa anche il presidente che ora vorrebbe (tardivamente) correggere la rotta chiudendo le frontiere. Lui glielo ha impedito per motivi elettorali e ora attacca minacciando di fare cose simili con più durezza.
Nessuno sa fino a che punto vorrà o potrà spingersi (i giudici non dovrebbero consentirgli di espellere chi ha presentato domanda di asilo) ma Trump sa che, qualunque cosa dica, qui va sul velluto: il risentimento contro i clandestini, un tempo limitato ai conservatori law and order, è ormai esteso anche a molti democratici e, soprattutto, si è diffuso anche tra le minoranze nere e ispaniche. […]
E siccome sempre più spesso nei sondaggi si trovano esponenti di gruppi sociali bistrattati da Trump (anche afroamericani) che dicono «sappiamo che è quello che è ma ci piace ciò che dice», lui continua a spararle grosse, puntando su frasi ad effetto: sempre pronto a ridimensionarle o a contraddirle in altri discorsi. […]
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