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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
1. DAGONEWS: CATRICALÀ LASCIA LA MAGISTRATURA AMMINISTRATIVA
Da Dagospia del 6 marzo 2014
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/cucu-valzer-nomine-irrompe-catricala-boiardo-73142.htm
Sarà perché forse rischiava addirittura di essere, per anzianità di ruolo, il prossimo presidente del Consiglio di Stato, ma l'ex viceministro Antonio Catricalà ha presentato domanda di pensionamento dai ruoli della magistratura amministrativa.
A soli 62 anni, e con ancora 13 anni di luminosa carriera davanti, l'ex presidente dell'Antitrust sembra dunque smentire una delle poche certezze romane, ovvero che un Catricalà, come un Gianni Letta, è per sempre. Ma si tratta di un'illusione ottica. Anzi, di un mero fatto estetico.
Catricalà, con l'addio alla toga (poco indossata, in realtà), si potrà finalmente dedicare all'attività di libero professionista e con un curriculum come il suo è facile immaginare che tutti i maggiori gruppi italiani faranno a gara ad avere un avvocato come lui, capace di girare alla perfezione tra ministeri, decreti, delibere e autorizzazioni. In più sua moglie, Diana Agosti, è la responsabile del coordinamento amministrativo di Palazzo Chigi. (...)
2. E CATRICALÀ RISPOSE: “NON È VERO, TORNO AL CONSIGLIO DI STATO”
Lettera ricevuta da Antonio Catricalà il 6 marzo 2014
Geronzi Cesare Antonio Catricala
Caro Dago,
in relazione all'articolo di oggi che mi riguarda vorrei fare tre precisazioni.
Nonostante abbia avuto qualche dubbio, ho deciso di tornare in servizio al Consiglio di Stato e ho confermato la mia domanda di riammissione in ruolo. La toga l'ho indossata per molti anni e sarò onorato di indossarla ancora.
Non ambisco alla presidenza di Poste. Sarei incompatibile.
Cordiali saluti.
Antonio Catricalà
3. UNA VITA DA «GRAND COMMIS»
Carmine Fotina per “Il Sole 24 Ore”
Alessandra Necci e Antonio Catricala
L'addio alle istituzioni, ironia della sorte, arriva nel momento del loro più profondo mutamento. Antonio Catricalà abbandona la magistratura per avviare un'iniziativa privata con uno studio legale, dopo un percorso che per varietà di ruoli – e dei governi di appartenenza – ha ben pochi precedenti. Capo di gabinetto di lungo corso, poi segretario generale a Palazzo Chigi con Berlusconi nel 2001, e ancora presidente dell'Antitrust, sottosegretario alla presidenza del consiglio con Monti, viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni con Letta. Il potere intramontabile della burocrazia?
«Oggi i rapporti di forza sono cambiati, la politica sta riacquistando lo spazio che aveva perduto. Ma sono le istituzioni nel senso più ampio che stanno cambiando».
Catricalà, che dal 1° novembre lascia il Consiglio di Stato per avviare una law academy con lo studio Lipani & Partners, riconosce gli eccessi che probabilmente hanno caratterizzato una certa fase storica dei grand commis ma al tempo stesso rivendica la difesa delle eccellenze.
GIANNI LETTA TAREK BEN AMMAR ANTONIO CATRICALA - copyright Pizzi
«Per fortuna nelle istituzioni non esistono più santuari inviolabili, e va riconosciuto anche all'attuale governo di aver fatto la sua parte. La trasparenza è un fatto tangibile della Pubblica amministrazione e lo è anche la responsabilità individuale dei comportamenti di chi è investito di una funzione pubblica. In altre parole c'è un controllo sociale molto più forte rispetto al passato».
E il ricordo va subito all'enorme mole di regolamenti attuativi del governo Monti: «La campagna del Sole 24 Ore che ogni settimana ci stimolava sull'attuazione è stata benefica. È chiaro che la difficoltà di fare quei regolamenti nasceva dalla difficoltà politica, emersa in Parlamento, di risolvere grandi conflitti di interesse, e solo dopo si spostava l'onere sull'amministrazione. Ma serviva qualcuno che ci pungolasse».
ANTONIO CATRICALA SILVIO BERLUSCONI
Meriti, nel ragionamento di Catricalà, vanno ascritti anche alla disintermediazione del rapporto tra politica e decisioni finali. «C'è stata una fase in cui la politica la facevano i ministri e l'amministrazione la facevano i capi gabinetto. Oggi questo non accade più, perché i ministri hanno capito che a metterci la faccia alla fine sono solo loro e sono molto più attenti a possibili appropriazioni indebite di aree di potere sia dei direttori generali sia della burocrazia in genere».
ANTONIO CATRICALA SILVIO BERLUSCONI
Detto questo però, aggiunge, «quello che il governo non deve fare è mortificare le élite, perché a un governo conviene sempre avere una sponda tecnica forte e perché le élite servono a difenderci come Italia nella competizione con le alte burocrazie europee. È giusto abbattere i santuari in nome della trasparenza, ma continuiamo a motivare i migliori. E, guardi, non è tanto un problema di stipendi, ma di considerazione che la società ha di queste persone. Una volta il ruolo di capo di gabinetto era una medaglia al valore, oggi è quasi una macchia sulla fedina penale».
Mario Monti e Antonio Catricala
L'esperienza da grand commis adesso diventa per Catricalà bagaglio per l'insegnamento nel settore privato, in cui, fino a un anno dalla fine dell'esperienza nel governo Letta, dovrà continuare a non occuparsi delle materie della delega sulle Comunicazioni.
«Inizio un progetto di formazione di futuri avvocati, una vecchia aspirazione con un motivo in più rappresentato dai cambiamenti della recente riforma forense. La scuola che sto fondando con l'avvocato Damiano Lipani e con lo studio, di cui sarò socio, porterà avanti la formazione dei giovani professionisti anche una volta diventati avvocati. Saranno previste borse di studio per almeno un decimo degli studenti e, alla fine del corso, i più meritevoli potranno svolgere uno stage retribuito presso lo studio. Io intanto con grande umiltà chiederò l'iscrizione all'ordine degli avvocati».
Il dispiacere per l'addio al Consiglio di Stato – «una famiglia e una grande scuola» – è compensato dall'«entusiasmo per un'avventura del tutto nuova, che mi fa sentire giovane. Un treno che non potevo perdere a 62 anni. Certo, in vista di una possibile futura presidenza del Consiglio di Stato, ha influito anche il fatto che l'età pensionabile sia scesa da 75 a 70 anni. Ma, per dirla tutta, non è che sia stata una scelta deprecabile del governo, anzi lo svecchiamento di certi istituti è una delle migliori decisioni prese da questo esecutivo sulla Pa».
È stata digerita, nel frattempo, la mancata nomina alla Corte costituzionale su indicazione di Forza Italia. «Avevo accettato la candidatura perché era stata concordata con i vertici. Probabilmente questi accordi di vertice oggi non sempre sono ben visti dalla base, ma ho capito subito che c'era qualcosa che non andava e ho ritirato spero in tempo la candidatura, anche perché non volevo che tutte queste fumate nere sporcassero una camicia bianca».
La professione privata che inizierà a giorni chiude una fase in cui non sono mancate le soddisfazioni, ma anche critiche per essere considerato troppo vicino a Berlusconi – «il fatto è che in Italia non si accetta l'esistenza di tecnici puri» – e nell'ultimo periodo qualche disillusione – «con il governo Monti, soprattutto all'inizio, potevamo fare di più e abbiamo pagato il distacco dalla gente comune in termini di credibilità».
Nell'album dei ricordi spicca la diatriba sulla tv e il potere di Mediaset, gestita da presidente dell'Antitrust. «La discussione sul duopolio televisivo non poteva prescindere dalla nascita di un mercato sempre più convergente tra tv e tlc. Abbiamo fatto quello che andava fatto e la storia del resto mi ha dato ragione». Andando a ritroso, riemerge anche il progetto nei primi anni Duemila di affidare in outsourcing tutti i servizi della presidenza del Consiglio.
«Ero segretario generale a Palazzo Chigi con il governo Berlusconi: avevo fatto anche la gara, prima arrivò Finmeccanica e seconda una ditta inglese. Poi andai all'Antitrust e la cosa non ebbe seguito. Ma credo sia un'idea ancora attuale: perché tenere dei direttori generali che si occupano di mobili, gasolio o degli ascensori? Non sarebbe meglio mettere le persone a lavorare nel front office? In fin dei conti è un'operazione che potrebbe essere replicata dai ministeri e poi dalle Regioni, liberando spazi di mercato enormi e creando occupazione».
Una sfida da lanciare al governo Renzi che del resto – è la previsione dell'ex sottosegretario a Palazzo Chigi – ha molta strada da poter fare. «Secondo me Renzi ha le capacità di convincere l'opinione pubblica che se comincia una battaglia alla fine la vince. E in un momento senza grandi alternative è normale che gli italiani di buon senso tifino per lui».
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