DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto dell’articolo di Susanna Turco per “l’Espresso”
GIORGIA MELONI ALFREDO MANTOVANO
E’ il capo ombra del governo, l’uomo che ha in mano le leve, è la «carta copiativa» di Giorgia Meloni. Ha una lunga storia, molteplici relazioni, notevoli tessiture con il Vaticano, ma anche con il Quirinale, solida consuetudine con gli apparati dello Stato, l’apparenza grigia […] Alfredo Mantovano, 64 anni, nato a Lecce, laureato a Roma, sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi segreti, è per il governo come la schiuma del mare: è presente ovunque, si rende visibile solo nel caso di forti tempeste […] Altrimenti è come se non ci fosse.
«Parlo poco perché non serve», ebbe a dire appunto in una delle rare occasioni in cui aprì bocca, dopo essersi presentato come per caso ai cronisti sotto a palazzo Chigi, alle 15 in punto, nel bel mezzo delle polemiche sui morti di Cutro, mentre la premier era in visita in India, per anticipare la linea del governo sulla ricostruzione di quella notte, che sarebbe stata enunciata tre giorni dopo in Parlamento dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (e da allora su di lui aleggia il fantasma del commissariamento). La stessa cosa aveva fatto un mese prima, nel bel mezzo della bufera sul duplex Donzelli-Delmastro […]
alfredo mantovano giorgia meloni
Cattolico […], Alfredo Mantovano con […] tetragonia laica […] sostiene Giorgia Meloni: ritiene infatti che la sua interlocutrice debba essere unicamente lei, senz’altra dialettica. Un affidarsi apodittico, capace di azzerare qualunque teoria del complotto, materia in cui pure i Fratelli d’Italia sono esperti. Ed ecco perché Mantovano, a differenza di quasi tutti gli altri, ha trovato posto nella più stretta cerchia fiduciaria della premier anche senza aver condiviso con lei la militanza giovanile. È peraltro l’unico, assieme per certi versi a Guido Crosetto, che possa metaforicamente avvolgere Meloni come un mantello protettivo, così come l’unico che possa politicamente sopravviverle […]
giorgia meloni alfredo mantovano
Le è accaduto persino con Giovanbattista Fazzolari: definito da Luigi Bisignani «copilota chiave» assieme a Mantovano, eppure bisognoso anche lui, in almeno due casi, dell’intervento della premier. Infinitamente più felpato rispetto al sottosegretario all’Attuazione appassionato d’armi, Mantovano ha almeno due skill («abilità», direbbe Rampelli) che a Meloni tornano utili più di qualsiasi fiamma. La prima riguarda la consuetudine a muoversi dentro gli apparati dello Stato, la seconda riguarda i rapporti col Vaticano.
mario draghi giorgia meloni alfredo mantovano
Magistrato e parlamentare, è stato sottosegretario all’Interno nei governi Berlusconi per complessivi nove anni (Scajola, Pisanu, Maroni) e membro del Copaco (antesignano del Copasir): una formazione che ad esempio il 6 marzo gli ha dato la piena tranquillità di decidere, senza troppe consultazioni, la rimozione di Roberto Baldoni da una casella delicata come quella di direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza (l’aveva messo il suo predecessore, Franco Gabrielli).
La sua parabola politica è legata a quella di An: avvicinatosi attraverso il partito guidato da Gianfranco Fini, di cui fu a lungo considerato il delfino, Mantovano lasciò i palazzi con la fine del Pdl. Quando Meloni fondava Fdi, lui tornava in magistratura, senza interrompere i rapporti. Lei, d’altra parte, non ha mai smesso di invitarlo. E ora lui vede in Meloni incarnata (addirittura) una nuova stagione del tatarellismo […]
Il suo vero ritorno in scena è avvenuto giusto un anno fa, per la Conferenza programmatica dei Fratelli a Milano. Dove ha parlato di natalità, di famiglia naturale, si è espresso contro l’eutanasia («diventerà a breve uno strumento per il controllo della spesa pubblica»), contro il ddl Zan, contro le coppie omogenitoriali, contro ovviamente la gestazione per altri. Argomenti che poi tante volte sono affiorati sulle bocche di Meloni e dei Fratelli. Lì Mantovano ha sfoderato insomma il suo tradizionalismo di destra, quello da campione di Alleanza Cattolica e fondatore del centro Studi Livatino.
Fausto Bertinotti Alfredo Mantovano e Francesco Paolo Sisto
Una certa impostazione culturale che è quella che nel 2005 lo portò ad allontanarsi da Fini, ai tempi della svolta laica. Cultura che in questi mesi l’ha portato davanti alla reliquia della camicia insanguinata di Livatino, il giudice-beato, esposta in Senato. Così come per altri versi alla conferma a vice capo del Dagl di Roberto Tartaglia, già pm del processo Trattativa, e al sostegno per la candidatura al Csm di Daniela Bianchini, anche lei Centro Studi Livatino, di cui Mantovano entrando al governo ha lasciato la vicepresidenza.
Insieme con la presidenza della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre: «Sono stato in questa sala a trovarla, portando i familiari di Asia Bibi qualche anno fa, non so se ricorda», ha detto al Papa a gennaio, baciandogli l'anello. C’era già stato, prima di Meloni. E, visto l’andazzo di questi mesi, potrebbe esserci anche dopo.
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