ALL’AMERICA NON FREGA UN CAZZO DEL DATAGATE - ANZI, “OBAMA DEVE SMETTERE DI SCUSARSI CON GLI EUROPEI. LI ABBIAMO SALVATI DAL TERRORISMO”

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Federico Rampini per "La Repubblica"

Peter King non è un ultrà della destra. Anzi, nel partito repubblicano è uno dei leader più moderati, e un possibile candidato alla Casa Bianca nel 2016. Su intelligence e politica estera è un esperto di lungo corso avendo presieduto in passato la commissione parlamentare di vigilanza sui servizi.

Oggi il deputato repubblicano manda un messaggio inequivocabile a Barack Obama: «Che la smetta di chiedere scusa. Basta stare sulla difensiva. La verità è che la National Security Agency (Nsa) ha salvato migliaia di vite umane, non solo negli Stati Uniti ma in Francia, in Germania, in tutta l'Europa». Ha il tono dell'ultimatum, quello che King lancia al presidente: «Lui è il comandante supremo, deve difendere la Nsa».

L'uscita di King è tutt'altro che isolata. Ecco un altro notabile del suo partito, il senatore repubblicano Lindsay Graham della South Carolina: «Sono felice che la Nsa stia cercando di scoprire i piani terroristici, in America e nel resto del mondo». C'è perfino una figura importante del partito democratico, la senatrice californiana Dianne Feinstein, che fa quadrato attorno al Grande Fratello: «E' tutto legale, è tutto previsto dal Patriot Act (la legge antiterrorismo approvata dopo l'11 settembre, ndr)».

La stampa liberal, New York Times in testa, ha dato spazio all'indignazione di Angela Merkel, e in un editoriale ha consigliato a Obama di accettare la proposta franco-tedesca di un accordo «anti-spionaggio reciproco» fra gli alleati. Ma il clima all'interno degli Stati Uniti è ben diverso. Il Datagate - che qui nessuno chiama in questo modo - è coperto sotto una spessa coltre d'indifferenza.

Tra i pochi che se ne occupano con attenzione, c'è una destra che mette in guardia Obama: il presidente non si azzardi a chiedere scusa. Politici e opinionisti conservatori fanno a gara nel difendere il lavoro dell'intelligence. Rispediscono al mittente le accuse degli europei, parassiti della sicurezza abituati da generazioni a farsi difendere dall'America.

Ecco Mike Rogers, un altro deputato repubblicano, l'attuale presidente della commissione di vigilanza sui servizi: «Se i francesi sapessero qual è il contenuto delle intercettazioni, dovrebbero stappare champagne e applaudire, perché noi contribuiamo alla loro sicurezza». Ecco il senatore Marco Rubio, altro "presidenziabile" repubblicano: «Tutti spiano tutti, e i leader europei lo sanno benissimo». Obama stia attento a non concedere nulla alle rimostranze che vengono da Berlino o da Parigi.

Questo è un presidente che la destra ha sempre accusato di disfattismo, o addirittura di essere un cripto-anti-americano. La polemica viene da lontano, cominciando dalle teorie deliranti ma diffusissime sul falso certificato di nascita, sull'Obama nato in Kenya (quindi ineleggibile), di religione musulmana. Sospetti che ebbero una "conferma" all'epoca del suo discorso al Cairo, giugno 2009, denunciato dalla destra come arrendevole nei confronti delle nazioni islamiche.

E poi un presidente che ha concluso la presenza militare Usa in Iraq, e sta proseguendo il ritiro dall'Afghanistan, non è forse un anti-patriota, un rinunciatario, il leader di un'America che non crede più in se stessa, l'ispiratore del "declinismo"?

Ne fece una linea di attacco in campagna elettorale il repubblicano Mitt Romney. «Se sarò eletto presidente - disse più volte nei comizi del 2012 - state certi che io non andrò in giro per il mondo a chiedere scusa per le presunte colpe dell'America». Non è un caso, se il passaggio delicato in cui Obama avrebbe chiesto scusa alla Merkel, nella telefonata di mercoledì scorso, appare solo nelle versioni date dalla stampa tedesca. Nella sintesi data dal portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, la parola "scusa" non c'era.

 

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