DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DI CECILIA SALA? BUIO FITTO, PURTROPPO. I TEMPI PER LA…
1 - LA GERMANIA E LA BAMBINA
Massimo Gramellini per “la Stampa”
angela merkel e la profuga palestinese
Ci sta che Angela Merkel dichiari a proposito di immigrazione: «Non possiamo accogliere tutti, la politica a volte deve essere dura». Ma è inconcepibile che lo dica a una ragazzina palestinese in procinto di essere cacciata dalla Germania. Reem, si chiama la piccola ed è scoppiata a piangere dopo avere incontrato la cancelliera in una scuola di Rostock. Arriva da un campo profughi del Libano e in quattro anni si è integrata talmente bene che parla il tedesco molto meglio di Trapattoni.
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Ma ora che alla sua famiglia è stato negato l’asilo verrà rispedita all’inferno e non capisce perché. Alle sue domande gonfie d’ansia la Merkel offre la risposta riportata all’inizio. Le parla come se avesse davanti una giornalista, non una creatura disperata e indifesa. E’ così lontana dalla sensibilità della ragazzina che ne equivoca persino le lacrime, attribuendole all’emozione del momento invece che alla rudezza delle sue parole.
Non si pensi che l’umanità rattrappita della cancelliera sia una prerogativa teutonica, anche se nascere a certe latitudini aiuta. Sul web si trovano centinaia di commenti favorevoli e contrari alla sua posizione sui migranti, però totalmente disinteressati all’aspetto più sconvolgente della storia, che – ripeto – non è il contenuto ma il contesto.
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La Germania che si siede con tutta la sua potenza sulle spalle fragili di una bambina. «Cara Reem, riuscirai a realizzare i tuoi sogni perché hai già dimostrato nella vita di essere in gamba». Così forse le andava detto. Così di sicuro le avrebbe detto un politico italiano e magari toscano. Poi, spente le telecamere, l’avrebbe rispedita in Libano. Ma questa è ancora un’altra faccenda.
2 - E LA MERKEL FA PIANGERE UNA PROFUGA
Andrea Tarquini per “la Repubblica”
«Signora cancelliera, perché volete espellere me e la mia famiglia, perché volete strapparmi il sogno di studiare coi miei compagni di classe?». All’incontro in una scuola di Rostock con Angela Merkel — ripresa dalla telecamere — è la giovane palestinese Reem, una rifugiata da un campo in Libano, a prendere il microfono e fare la domanda.
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«E così difficile vivere con la paura di venir mandati via, senza poter vivere una vita normale. Io vorrei studiare, vorrei vivere qui», dice in un tedesco perfetto, chissà da quanto sta in Germania. La risposta della cancelliera è fredda, burocratica: «A volte la politica deve essere dura. In Libano ci sono migliaia di persone nei campi profughi, e pensate pure all’Africa, mica possiamo dire a tutti di venire in Germania, altrimenti non ce la faremmo… quel che posso promettere è che in futuro le procedure per valutare le richieste d’asilo saranno più celeri».
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Improvvisamente la “donna più potente del mondo” si ferma. Rimane come imbambolata. Di fronte a lei la ragazzina palestinese si mette a piangere, a dirotto. La cancelliera fa un sorriso, va da lei. «Ma hai fatto tutto bene, sei stata brava». E cerca di consolarla. «Non è questione di essere bravi», la rintuzza il moderatore, «è che la sua situazione è molto pesante». «Lo so benissimo», risponde Angela Merkel irritata. «Per questo voglio darle una carezza».
Il video ha fatto il giro di tutti i siti tedeschi, e non solo di quelli, il dibattito è furente. «Ma che sensibilità ed empatia ha mai la cancelliera?», si chiedono tra gli altri Spiegel.de , Sueddeutsche online e tanti altri. L’episodio della ragazza palestinese che Angela Merkel con le sue parole prima ha scosso poi ha tentato di consolare si è rivelato un clamoroso autogol. Proprio mentre “Boycott Germany”, l’hashtag più diffuso del momento, lanciato da greci, anarchici e molte altre voci di sinistra radicale invita con irruenza a non comprare più prodotti tedeschi. Dando un ulteriore colpo all’immagine della prima potenza europea.
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L’hashtag invita con toni pesantissimi, carichi di odio e allusioni ad altre epoche, a «vivere senza auto Volkswagen o elettrodomestici Miele», almeno «finché non avranno pagato tutti i debiti di guerra». Se ne parla anche alla Camera di commercio federale. «Lo prendiamo sul serio, ma non ci danneggerà troppo, non c’è ragione di farsi prendere dal panico, dall’inizio della crisi greca appelli di questo genere ne abbiamo già visti in rete».
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Nel duro appello-hashtag, persino professori della London School of Economics, come per esempio David Graever, si spingono a ricordare la cancellazione dei debiti di guerra tedeschi, decisa alla conferenza internazionale di Londra nel 1953. Sono un volto della realtà che viviamo. Incomprensione crescente tra una Germania più assertiva e il resto d’Europa. Thomas Strobl, genero di Schaeuble e numero due della Cdu, urla in pubblico in un comizio «i greci ci hanno rotto i nervi fin troppo».
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Ne risente inevitabilmente persino l’umorismo. Il famoso cabarettista Dieter Nuhr spopola scherzando così: «La mia famiglia ha votato democraticamente, non pagheremo il mutuo». Clima d’incomprensione crescente, allarme anche qui: secondo Wolfgang Muenchau, columnist di Spiegel , «rischiamo il ritorno dell’Europa a situazioni da diciannovesimo o inizio ventesimo secolo, quando i paesi più forti imponevano ai più deboli la loro volontà».
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