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‘ASSANGE AIUTA LA RUSSIA’ - DOPO L’ATTACCO ALLA CLINTON PARTE IL SILURO DEL 'NEW YORK TIMES' CONTRO IL FONDATORE DI WIKILEAKS - IL CRITICO DELLA RETE MOROZOV: “SI DISCUTE SE CI SIANO I RUSSI DIETRO L’HACKERAGGIO DEI DEMOCRATICI MENTRE SAPPIAMO PER CERTO CHE C’ERA IL GRANDE FRATELLO USA DIETRO LO SPIONAGGIO DEL CELLULARE DI MERKEL”

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1. LA CADUTA DI ASSANGE SUL NYT

Da “il Foglio”

 

Quando i grandi media liberal scelgono un eroe, hanno bisogno di tempo per capire che in realtà si tratta di un villano. Prendete Julian Assange. Da oltre sei anni la sua associazione, Wikileaks, pubblica con cadenza più o meno regolare documenti segreti e riservati, rubati da qualche server governativo o da qualche grande agenzia, pubblicandoli senza curarsi particolarmente dei nomi e dei dati in essi contenuti, della privacy, della pericolosità degli stessi.

 

Quando Chelsea Manning (al tempo Bradley) trafugò migliaia di documenti del Pentagono sulle guerre americane in medio oriente, Assange non si preoccupò di vagliare quali file mettessero in pericolo la sicurezza americana, né lo fece con il successivo Cablegate.

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Assange predicava trasparenza assoluta e, nonostante le infinite critiche che gli sono piovute addosso, i media liberal gli sono sempre andati dietro con maggiore o minore convinzione, ricordando che nonostante le asperità del personaggio la sua battaglia era una buona battaglia.
 

Poco importa che l' obiettivo di Wikileaks siano sempre stati solo l' America e l' occidente, poco importa che Assange e la sua associazione, negli anni, abbiano mostrato un disprezzo crescente per le istituzioni liberali e una vicinanza sempre più preoccupante nei confronti del governo russo, che ha usato le campagne degli spioni per i suoi scopi propagandistici. Arriviamo al 2016 e all' ultima battaglia di Wikileaks, quella contro il Partito democratico americano.
 

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Wikileaks pubblica, giusto in tempo per la convention democratica, una mole importante di comunicazioni interne al partito priva di vera rilevanza politica, ma abbastanza imbarazzante da gettare più di un' ombra sulla nomination di Hillary Clinton.

 

Contestualmente, Assange inizia una campagna durissima contro la candidata democratica, che arriva a definire un "dèmone". Passano poche settimane, e ieri il New York Times esce con uno "special report" durissimo, in cui racconta come Wikileaks sia ormai diventato un bastione dell' antiamericanismo a livello mondiale e certifica i rapporti ambigui con il governo di Vladimir Putin, mai sfiorato dalle rivelazioni di Wikileaks e anzi sempre difeso dall' associazione.

 

Tutto vero, tutto giusto. L' eroe, finalmente, torna il villano che è sempre stato anche agli occhi dei media liberal. Forse sarebbe stato meglio svegliarsi prima, senza aspettare l' attacco ai Dem.

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2. EVGENY MOROZOV “NESSUN LEGAME, FANNO IL LORO LAVORO”

Francesca De Benedetti per “la Repubblica”

 

Nessuno tocchi Wikileaks. «Certo, ci sono molte più affinità fra la Russia, Trump e Wikileaks, che tra la Clinton e Assange», dice Evgeny Morozov, nato in Bielorussia 32 anni fa e oggi uno dei più autorevoli critici della rete. «Ma Wikileaks fa ciò per cui è nata: offrire rivelazioni scomode, mostrare le ombre del potere. Sì, in questo senso, gli Stati Uniti intesi come potenza egemone sono senza dubbio il primo obiettivo».

 

Il dossier del New York Times accusa Assange di “giocare dalla parte dei russi”. Come giudica questi sospetti?

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«L’inchiesta riflette la mentalità dell’establishment del Paese. L’accusa nasconde un presupposto: che l’agenda politica Usa coincida con gli interessi della popolazione e con il bene del mondo. Se si accetta l’assunto allora sì, Wikileaks punta contro gli Usa. Ma dire che chi è critico verso le scelte dell’establishment è antiamericano, o peggio che “sta con i russi”, rischia di portarci indietro a un nuovo maccartismo».

 

Un esempio?

«Grazie alle rivelazioni di Wikileaks sul trattato di libero scambio Ue-Usa, l’opinione pubblica europea ha potuto maturare posizioni critiche».

 

Rimane la questione di fondo: Wikileaks è uno spazio politicamente neutrale o predilige un bersaglio?

«Posso fare una supposizione: che Wikileaks abbia ritenuto gli Usa meritevoli di particolare attenzione. Ma sa perché? Perché gli Stati Uniti sono una potenza egemonica».

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La Russia non è una grande potenza?

«A scovare le magagne di Putin, pensano già i media occidentali ». 

Lei dice che Wikileaks agisce in modo sbilanciato per riequilibrare la copertura mediatica. Non è una scelta politica? 

«Sa qual è il paradosso? Che stiamo a discutere se ci siano i russi dietro l’hackeraggio dei democratici e dietro le rivelazioni di Wikileaks, mentre sappiamo per certo che c’era il grande fratello Usa dietro lo spionaggio del cellulare di Angela Merkel. L’intelligence russa non è che un piccolo player, se confrontato all’Nsa».

 

Esiste una “Russia-Trump-Wikileaks connection” secondo lei?

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«No, ma c’è affinità ideologica. Molta più che fra la Clinton e Wikileaks, se non altro. Il discorso vale soprattutto in politica estera: Trump è più isolazionista, ce l’ha con i trattati di libero scambio sui quali si è scagliata anche Wikileaks, ad esempio».

L’ “irruzione” di Assange nella campagna per le presidenziali non segna un cambio di passo di Wikileaks?

«No. Assange ha avuto i documenti dei democratici e, come da tradizione, li ha pubblicati».

 

Questa prassi non rischia di diventare un’arma a doppio taglio?

«Wikileaks usa metodi radicali ma necessari proprio per la nostra democrazia: in quest’era di crisi della rappresentanza, è necessario sapere come si comporta chi decide per noi, dietro la facciata. Vale anche per le presidenziali ».

 

 

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