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Ettore Livini per "la Repubblica"
«Oggi inizia un nuovo giorno per la Grecia. Abbiamo riconquistato la nostra credibilità ». Il premier Antonis Samaras ha salutato così il compromesso all'Eurogruppo che ha salvato Atene dal default allontanando (per ora) lo spettro del ritorno alla dracma. La parola d'ordine sotto il Partenone è ancora "prudenza". Ma dopo un anno da brividi segnato da due elezioni al cardiopalmo e dall'ennesima Finanziaria lacrime e sangue, il Paese - almeno per 24 ore - ha potuto regalarsi un sorriso.
Lo sblocco dei 44 miliardi di aiuti da parte della Troika ha qui un significato preciso: lo Stato potrà pagare gli stipendi e le pensioni dei prossimi mesi. E' il primo risultato positivo per il fragilissimo governo di unità nazionale «e da oggi possiamo pensare alla crescita e alla disoccupazione», ha promesso in uno slancio d'ottimismo Samaras.
Il percorso, purtroppo per lui, è ancora ad ostacoli. Sul fronte internazionale resta la divisione tra la Germania - ostaggio della scadenza elettorale di settembre 2013 - e il Fondo monetario. Il compromesso di ieri non ha avvicinato di un centimetro le due parti: Washington è convinta (come tutti gli economisti) che le misure approvate all'Eurogruppo servano solo a guadagnare un po' di tempo prima di un inevitabile taglio secco del debito greco. Un passo necessario per consentire ad Atene di tornare a crescere dopo quattro anni in cui l'economia si è contratta del 20%. Merkel da questo orecchio non ci sente. Oltre 200 miliardi dell'esposizione del Partenone sono in portafoglio a Ue, Efsf, Bce e ai singoli Stati europei. E la Cancelliera non può permettersi di regalare un altro euro alla Grecia fino a dopo le urne.
Per ora dunque si va avanti con il piano B, una soluzione che - come tutti i compromessi - non è riuscita a infiammare i mercati (Piazza Affari ha chiuso in lieve flessione): l'Eurogruppo ha dato l'ok al taglio dall'1,5% allo 0,5% dei tassi d'interesse sul debito ellenico, a un allungamento di 15 anni della scadenza dei prestiti già erogati e al congelamento per un decennio degli interessi all'Efsf. Un pacchetto di misure che assieme al buy-back sui titoli di Stato in mano ai privati e alla rinuncia ai profitti sui bond ellenici in portafoglio a Bce e ai Paesi europei "condona" in sostanza 40 miliardi ad Atene. Ma in modo così complesso da non urtare la suscettibilità di Berlino.
Il vero problema per Samaras è il fronte domestico. Il primo ministro è stato chiaro: «Questi saranno i vostri ultimi sacrifici», ha promesso a fine ottobre prima del voto sulla Finanziaria che ha ridotto tra il 5 e il 15% le pensioni e ha avviato 60mila tagli nel pubblico impiego. Il suo problema adesso è realizzare queste misure e sperare che non diano il colpo di grazia a un'economia e a un tessuto sociale già stressati.
I sindaci delle principali città greche, per dire, si rifiutano di girare al governo i nominativi dei dipendenti pubblici da mettere in cassa integrazione. Il rischio è che i ritardi nell'implementazione dell'austerity e un'ulteriore frenata del pil rendano necessari prima del tempo (leggi le elezioni tedesche) nuovi improbabili aiuti della Troika o altri sacrifici. Difficilissimi da far digerire non solo al Paese, ma soprattutto ai partner di governo. «L'Eurogruppo non ha risolto nulla, i nodi verranno al pettine», ha commentato ieri Alexis Tsipras, numero uno della sinistra radicale di Syriza in testa nei sondaggi di voto con il 23,5%, quattro punti in più di Nea Demokratia, la formazione del premier.
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