DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Annalisa Cuzzocrea per la Stampa – Estratti
La casa di Corrado Augias è piena di libri e di luce. La sua gatta è nera ed elegante. Il suo rimpianto è la musica. Non averla studiata di più. Non aver suonato di più. NeLa vita s'impara, in uscita oggi per Einaudi, il giornalista e scrittore ripercorre la storia del nostro Paese attraverso la sua biografia.
L'infanzia in Libia, la Liberazione in Italia, la non scelta tra ebraismo e cattolicesimo, gli Einaudi comprati a rate, i convegni del Mondo, le redazioni dell'Espresso e di Repubblica. La Rai, quello che rappresentava quando vinse il concorso ed entrò appena laureato. Quando tra i dirigenti c'erano Ettore Bernabei, Angelo Guglielmi, e ci lavoravano da Andrea Camilleri a Carlo Emilio Gadda.
Lei scrive: «Ho frequentato la Rai per sessant'anni, ho assistito all'ingresso di tutte le ondate, dai socialisti ai berlusconiani, ai grillini. Tutti chiedevano posti e qualche briciola di potere. Gli ultimi arrivati invece non chiedono solo posti, il loro obiettivo è cambiare la narrazione culturale».
GIORGIA MELONI CORRE CON I BERSAGLIERI
«L'ho capito fin dall'inizio. Quando nel 1963 in Rai arrivarono i socialisti, interrompendo il monopolio democristiano, volevano qualche programma, qualche servizio nel tg, farsi vedere. Arrivare, come si diceva allora, nella stanza dei bottoni. Per poi scoprire che i bottoni non c'erano».
Solo loro?
«No, via via tutti gli altri. Quando arrivarono i comunisti la Rai venne parlamentarizzata, la Dc aveva l'uno, i socialisti il 2, i comunisti il 3. Anche Berlusconi, a parte qualche gesto di ferocia come l'editto bulgaro, un gesto di collera "divina", non chiedeva tanto. I suoi pensavano alle ballerine. Questi no».
la torre di babele - corrado augias
A cosa pensano?
«Sono arrivati per imporre una visione del mondo».
Per riscrivere la storia come La Russa con via Rasella?
«Per ricominciare daccapo con una contronarrazione rispetto a quella costituzionale. Ma è una narrazione rozza, infantile, approssimativa. Nata nelle conventicole del Movimento sociale, mentre stavano a rimuginare tra loro pieni di rancore e di frustrazione perché erano stati tenuti fuori».
Li aveva messi fuori la storia.
«C'era l'arco costituzionale che non li prevedeva, questo li ha riempiti di collera. Quando sono andato via dalla Rai non era ancora successo quasi nulla, ma ho visto i segni premonitori».
È stato previdente.
«Un gesto fanatico e stupido come il divieto del monologo di Scurati si spiega solo con lo zelo del funzionario che crede di aver capito che è arrivato il momento di poter fare una cosa del genere, perché il clima lo permette».
E invece?
«Si è sbagliato. È stata una mossa sciocca e controproducente».
Lo sciopero Rai è stato boicottato da un sindacato appena nato per difendere il governo.
«Un sindacato tecnicamente giallo, cioè il sindacato del padrone come c'era alla Fiat nei tempi delle contrapposizioni industriali più dure, alla Rai non c'era mai stato. È incredibile quel che accade».
(...) Le racconto un aneddoto significativo. Per un periodo ho fatto il redattore al tg, c'era stato un terremoto, scrissi la notizia parlando di vittime, case distrutte, strade impraticabili. Il mio caporedattore democristiano la riscrisse».
Come?
«"Tutto è tornato tranquillo a Valdobbiadene dopo la scossa di terremoto che..."».
Non bisognava allarmare.
«Gli interventi erano di questo tipo. Per non dire di Bernabei che quando c'era Tv7 si chiudeva nella moviola di via Teulada a guardare tutti i servizi: questo sì, questo no. Ma poi favoriva programmi culturali di prim'ordine»
giampaolo rossi corrado augias
Era un'altra cosa?
«Completamente, e si vede riprodotta nel dissidio tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi. Il primo, vecchia scuola dc, cerca di mitigare, di mediare. Rossi va giù dritto, è un uomo nato a Colle Oppio».
Senso di rivalsa?
«Quando sono andato via a una domanda su di me ha risposto, testuale: ho 12mila dipendenti, non mi posso occupare dello stipendio di Augias. Ma nessuno aveva mai parlato di soldi».
Il tentativo di screditare, come con Scurati?
«Il fango. Un argomento specioso per sporcare l'avversario».
Nel caso di Scurati lo ha fatto direttamente la premier.
«Vede, non ho paura che mi aspettino sotto casa per darmi un sacco di legnate... le botte dei fascisti le ho già prese».
(...)
Tornando in Italia, questa occupazione di tutti gli spazi quanto può durare?
«Qualunque potere si espande fino a quando non trova un contropotere che lo limita».
Quale può essere il contropotere?
«Può nascere da un trauma economico, non da altro. Gridare al fascismo è inutile e controproducente. È un messaggio che arriva solo a persone che non hanno bisogno di ascoltarlo».
Fa bene Meloni a non dirsi antifascista?
«Certo. Perché non lo è e perché deve arrivare all'8 giugno con il massimo possibile di forza elettorale, dai camerati di Acca Larentia alla borghesia impaurita dall'impoverimento».
L'alternativa com'è messa?
«Male. Non ha la concretezza e la brama di potere che tiene unita la destra. Finché non troverà un equilibrio tra diritti civili e diritti sociali non ce la farà».
Il Pd?
«È troppo diviso. Non sono mai stato comunista, ma ricordo con quale apprezzamento noi liberali di sinistra gobettiani guardavamo il cosiddetto centralismo democratico. Dicevamo: in Italia ci sono tre cose serie, il Vaticano, i carabinieri e il Pci. Forse si salvano i carabinieri».
(...)
Ho dimenticato di chiederle di Vannacci.
«Non ne vale la pena».
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