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Ugo Magri per La Stampa
Né Renzi né tantomeno Napolitano gli hanno evitato l'onta dei servizi sociali. Cosicché Berlusconi, in preda a un visibile risentimento, ieri da Vespa ha congelato il patto sulle riforme e ha preso di mira il Capo dello Stato accusandolo di fatti gravissimi. L'uomo non accetta che, mentre lui va ad accudire i vecchietti a Cesano Boscone, Renzi s'incammini indisturbato verso il trionfo elettorale. Ancor meno perdona al Colle di avergli negato la grazia. Dunque smette di collaborare e si pone di traverso.
La riforma del Senato, così com'è, gli risulta «invotabile». Sì, d'accordo, con il premier c'erano state delle solenni intese. Però poi la Boschi ha presentato un testo senza concordarlo con Forza Italia. Di approvarlo a Palazzo Madama entro il 25 maggio, giorno delle Europee, non se ne parla, «questa è l'unica cosa certa». Ma la vera sorpresa è sull'«Italicum».
Da una parte il Cavaliere lamenta che si sia perso nelle nebbie. Dall'altra sostiene che è tutto sbagliato: certi giuristi di sua fiducia gli hanno detto che, «se venisse abolito il Senato, la nuova legge elettorale diventerebbe incostituzionale» in quanto un partito del 25 per cento, vincendo anche solo di uno zero virgola, «prenderebbe il controllo dell'intero Paese, compresa la possibilità di eleggersi il Presidente della Repubblica».
Sono argomenti di sostanza, già sollevati da costituzionalisti del calibro di Rodotà o di Zagrebelski, che tuttavia suonano strani sulla bocca del loro arci-nemico. Incalzato dal conduttore e dai giornalisti in studio, Berlusconi ha specificato che sarebbe sua intenzione discuterne con Renzi.
Dunque in teoria ci sarebbe spazio per ritrovare l'intesa. E fonti berlusconiane si sono premurate di far sapere che in effetti potrebbe trattarsi di uno stop limitato alla campagna elettorale, per non concedere a Renzi e al Pd la chance di poter dire all'Italia: stiamo riuscendo a fare in tre mesi le riforme dove tutti (Silvio compreso) hanno fallito.
Altri, invece, brindano alla vittoria: sono quanti, a cominciare dal capogruppo «azzurro» Brunetta, da tempo premono per chiarire l'equivoco di un'opposizione che tale è di nome, non di fatto. Secondo loro, il patto è rottamato una volta per sempre.
Dal modo in cui Berlusconi si è espresso, è sembrata in effetti una pietra tombale. Oltretutto, l'attacco a Renzi è stato condotto su vari fronti. Il Cav l'ha dipinto alla stregua di un «simpatico tassatore», sostenendo che lo sconto fiscale degli 80 euro mensili verrà goduto da una platea ristretta di contribuenti, laddove tutti gli altri dovranno sborsare di più.
Rimprovera a Napolitano di avere autorizzato la «mancia elettorale», e non solo. In preda all'ira, Berlusconi ha rilanciato la teoria del complotto, anzi del «colpo di Stato» ai suoi danni. L'elemento di novità consiste nella «prova assoluta» che Napolitano avrebbe spinto Fini «a fare quello che ha fatto» nel 2010, promettendogli in cambio la guida del governo: «Dodici testimoni hanno sentito in diretta la telefonata del Capo dello Stato che cercava di convincerli a farmi cadere»...
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