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DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
Emilio Randacio per "la Repubblica"
Un'intera giornata davanti ai pm. A tentare di ridimensionare il suo ruolo, a spigolare le accuse, a giocarsi la carta per ottenere una sudata scarcerazione. Dopo quasi quaranta giorni di carcere con l'accusa di associazione a delinquere e truffa, l'ex tesoriere leghista, Francesco Belsito, ieri si è seduto davanti ai pm milanesi Paolo Filippini e Roberto Pellicano.
Contro di lui una montagna di intercettazioni e l'identikit tagliato su misura di faccendiere che nella veste di manager in quota leghista, avrebbe «influenzato le decisioni di istituzioni e grande imprese pubbliche», favorendo aziende a lui vicine. Quello che ha raccontato ieri Belsito, al momento è coperto da segreto, ma intanto emergono le dichiarazioni di quando l'ex consigliere d'amministrazione di Fincantieri, nel marzo scorso, da uomo libero ha parlato ai magistrati di Reggio Calabria, in un'inchiesta su un presunto giro di riciclaggio.
Nella Lega, ha spiegato ai pm dello Stretto Belsito, «sapevano che arrivavano le perquisizioni prima ed hanno cambiato le targhe delle stanze dove c'era la contabilità con i nomi dei deputati e senatori». Ha spiegato nei verbali, anticipati la scorsa settimana da Il Sole 24ore.
Alla domanda su chi aveva avvertito la Lega delle perquisizioni, effettuate nell'aprile 2012 nella sede di via Bellerio a Milano dalla Dda di Reggio Calabria e delle Procure di Napoli e Milano, Belsito risponde: «Non lo so ma sapevano benissimo. Ho avuto un bisticcio con Castelli (Roberto, l'ex Guardasigilli, ndr), e lui mi ha detto "ci sono tre Procure che indagano".
Era febbraio. Lui voleva le mie dimissioni. Gli ho detto, "ma sei un cartomante o fai parte anche tu del sistema? Come fai a sapere?"». E alla domanda se avesse capito Castelli da chi lo aveva saputo dice: «No. Era un periodo che si vedevano di nascosto. I dirigenti potevano essere Calderoli, Maroni, Castelli, lo stesso Stiffoni (Piergiorgio, precedente tesoriere della Lega, ndr) ».
Belsito allunga ombre soprattutto sul governatore della Lombardia Roberto Maroni, senza fornire dettagli, ma solo per sentito dire, parla del «nano », e di una presunta tangente pretesa per un appalto in Libia di Finmeccanica. Da parte sua, l'ex ministro dell'Interno, ha respinto ogni accusa e ha già presentato querela per diffamazione.
«Avvisai Bossi - dice - che c'era una raccolta fondi, sempre voci di partito, lettere anonime, dove determinati esponenti, importanti imprenditori, stavano foraggiando l'iniziativa di rafforzare l'assetto della Lega al Nord. Roberto Cota, Luca Zaia, Roberto Maroni incontravano soggetti, ma non imprenditori improvvisati, gente di livello nazionale».
Si stava creando «un soggetto autonomo. Tanto è vero che la preoccupazione di Bossi era: se rompiamo dobbiamo essere in grado di fare campagna elettorale. Ecco il motivo dello spostamento del fondo in Tanzania. Voleva un tesoretto disponibile... quindi iscritto a bilancio». Secca la replica di Bossi, arrivata in serata: «Belsito cerca di salvarsi in qualche modo scaricando sugli altri».
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