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Franca Giansoldati per il Messaggero
Sin da quando è scoppiato il caso Vatileaks e sono scattate le indagini che hanno portato al rinvio a giudizio del maggiordomo del Papa e del tecnico informatico, Claudio Sciarpelletti (che aveva facoltà di riparare i computer dell'appartamento pontificio), è emerso chiaramente di come ai piani alti del Palazzo Apostolico si stessero confrontando due linee.
La prima fortemente incoraggiata dal Papa orientata a garantire trasparenza e a fare uscire il marcio, a qualunque costo pur di neutralizzare una volta per tutte l'immagine cliché di un Vaticano perennemente avvolto nei misteri; la seconda, invece, decisamente più portata a gestire «ad intra» le informazioni, a favore della ragion di stato, per arginare gli scandali e cercare di mettere il silenziatore su una vicenda apparsa da subito piuttosto ingombrante.
E così nonostante i diffusi rinvii e le anomalie che, sotto certi aspetti, ha presentato l'indagine, compresa la decisione di pubblicare la sentenza con una sfilza di omissis sui nomi dei testimoni e dei presunti complici del maggiordomo Paoletto, in Vaticano si è fatta strada la percezione che occorre andare fino in fondo. Che la vicenda non si può concludere solo con il processo autunnale dei due imputati. Perché le indagini sulla ormai famosa «rete dei corvi» (fu Paolo Gabriele in una intervista televisiva, opportunamente camuffato, a parlare di almeno venti persone coinvolte) proseguiranno sicuramente dopo la pausa estiva.
Si dice che i gendarmi stiano utilizzando una tecnologia molto sofisticata, prestata loro dai servizi segreti di altri Stati, in grado di setacciare tutte le mail (anche quelle molto vecchie) partite dai server d'Oltretevere. Ciò permetterebbe di ricostruire la ragnatela delle relazioni e arrivare a completare il quadro. «Il Papa vuole che si vada avanti. E andrà fino in fondo» assicura una autorevole fonte.
Tra l'altro sembra assai probabile che in concomitanza del processo di Paoletto in autunno, Benedetto XVI sia orientato a rendere note anche le conclusioni delle indagini amministrative svolte con discrezione dai tre cardinali incaricati di portare avanti una ricerca parallela a quella della magistratura. Si tratta di una trentina di pagine scritte dai cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi in cui vengono evidenziate le aree deboli del complesso sistema curiale. In attesa di sviluppi gli interrogativi si sprecano su come sia potuto nascere un problema del genere.
Intanto ci si interroga sull'equilibrio psicologico di Paolo Gabriele per ben due volte sottoposto ad una perizia psichiatrica durante i 60 giorni di carcerazione preventiva. I magistrati hanno chiesto due perizie, una a Tatarelli e una al professor Tonino Cantelmi della Gregoriana. A giudizio di Tatarelli i disturbi psichici emersi dalle perizie non abolirebbero «la coscienza e la libertà dei propri atti da parte dell'indagato».
Secondo la perizia di Cantelmi invece la personalità di Gabriele è «affetta da un'identità incompleta ed instabile, da suggestionabilità , da sentimenti di grandiosità ». Non solo. La «deformazione dei processi ideativi porta ad una incapacità d'intendere e di volere». Ma questa perizia non è stata condivisa dai giudici Bonnet e Picardi: di qui il rinvio a giudizio dell'ex maggiordomo.
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