DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1. IL PAPA SCOMUNICA CORROTTI E MAFIOSI
Domenico Agasso per ''la Stampa''
«I mafiosi sono scomunicati», aveva scandito papa Francesco nella spianata di Sibari a Cassano all' Jonio, nel 2014. Ora potranno esserlo anche i corrotti.
E con un decreto. Il Vaticano ha annunciato che è allo studio la possibilità di cacciare ufficialmente dalla Chiesa «per corruzione e associazione mafiosa».
papa francesco bergoglio foto lapresse
Lo ha dichiarato il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, a conclusione del primo «Dibattito Internazionale sulla Corruzione», il 15 giugno Oltretevere. Organizzato con la Pontificia Accademia per le Scienze sociali, vi hanno partecipato circa 50 tra magistrati anti-mafia e anti-corruzione, vescovi, personalità di istituzioni vaticane, degli Stati e delle Nazioni Unite, capi di movimenti, intellettuali e alcuni ambasciatori.
Tra le «future iniziative, si segnala al momento la necessità di approfondire, a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa, la questione relativa alla scomunica». La lotta «alla corruzione e alle mafie», si è detto, «è una questione non solo di legalità, ma di civiltà».
La scomunica è la pena più grave nella Chiesa. L' antichissima fattispecie comporta l' allontanamento dalla comunità dei fedeli e la conseguente esclusione dai sacramenti. In passato la punizione massima ha interessato per esempio i Lefebvriani, gli ultraconservatori contrari al Concilio Vaticano II, o alcune sette religiose.
Ma è scomunicato, «latae sententiae», cioè automaticamente, anche chi viola i segreti del conclave; oppure chi profana le ostie o attenta alla vita del Papa. Ci sono poi peccati conclamati, come l' aborto, che in passato sono stati inseriti nell' elenco. È sempre possibile chiedere perdono, confessarsi, ma ci sono diversi gradi: se, infatti, generalmente una scomunica può essere tolta dal prete durante la confessione, alcune sono riservate al vescovo o, persino, alla Santa Sede, cioè alla Penitenzieria apostolica, il competente ufficio della Curia romana.
La corruzione è un tema che ricorre spesso nelle parole di Francesco, che ha più volte avvisato quanto sia pericolosa e come uno che corrompe sia molto più che un peccatore: «Il peccatore, se si pente, torna indietro; il corrotto, difficilmente», ha spiegato qualche mese fa in una delle omelie a Casa Santa Marta. E nella prefazione al libro «Corrosione» (Rizzoli), scritto dal cardinale Peter K. A. Turkson, prefetto del Dicastero dello Sviluppo, con Vittorio V. Alberti, il Pontefice l' ha definita un «cancro» da estirpare.
Questa svolta sotto il pontificato di Bergoglio è in linea con i suoi due predecessori, che «hanno contribuito all' interpretazione e alla condanna della mafia a partire dalle tradizionali e originali categorie cristiane», ricorda monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, uno dei presuli più impegnati su questo fronte. San Giovanni Paolo, nel 1993, nel discorso alla Valle dei templi, lanciò l' appello: «Mafiosi convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio». Benedetto XVI nel 2010 a Palermo sentenziò che la mafia è «una strada di morte».
Commenta don Davide Scito, docente di Diritto canonico all' Università Pontificia della Santa Croce: la scomunica allo studio è «una patente morale con la quale si vuole sottolineare la gravità dell' azione di un cristiano che si macchi di questi reati».
2. "OTTIMO, DESTABILIZZERÀ LE COSCHE E I LORO RITUALI PSEUDORELIGIOSI" - IL PROCURATORE DI REGGIO: "LE CRESIME SOSPESE SONO GIÀ UN SEGNALE"
Francesco Grignetti per 'la Stampa'
Scomunicare mafiosi e corruttori. Papa Bergoglio non darà tregua a chi adora il dio denaro. E la 'ndrangheta, che probabilmente è l' organizzazione mafiosa più ricca, ramificata, e pericolosa, rischia di esserne destabilizzata essendo molto legata a rituali arcaici.
IL PROCURATORE CAFIERO DE RAHO E A DESTRA IL PM ALESSANDRA CERRETI
L' affiliazione, per dire, oggi come ieri si perfeziona davanti alla 'ndrina facendo colare il proprio sangue e giurando fedeltà su un santino che verrà bruciato, mentre il capobastone recita la formula: «Calice d' argento, ostia consacrata, parole d' omertà. È formata la società». Ecco, in questo contesto il Papa vuole esercitare la scomunica. E il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, è raggiante. «Una grande notizia».
Procuratore, ci spieghi. È davvero significativo che dalla Chiesa arrivi la scomunica formale per i mafiosi?
«Assolutamente sì. Sono segnali importantissimi. Papa Francesco lo disse già tempo fa che il mafioso è scomunicato. Sono state affermazioni fortissime. Se arriverà anche l' atto formale, avrà un grande peso per organizzazioni come la 'ndrangheta e le altre, che assumono rituali pseudoreligiosi nell' affiliazione, così come nelle cariche interne (i gradi della 'ndrangheta si definiscono «sgarrista», «santista», «vangelista», ndr)».
Si sa che da sempre i mafiosi, e quelli calabresi non fanno eccezione, cercano la legittimazione della Chiesa. È ancora così?
«Sì, i mafiosi aspirano ad essere trattati come fedeli che meritano rispetto e sostegno, perciò ostentano le loro donazioni per le opere da compiere in un edificio di attività religiose. Una volta era una modalità per presentarsi alla gente in tutto il proprio carisma criminale. Capite: da un lato il crimine, dall' altro un sostegno da parte della Chiesa, o quantomeno un riconoscimento. D' altra parte non capitava solo qui, basti solo citare la Banda della Magliana. Era in tutta evidenza una forma di legittimazione che strumentalizzava la carità».
E i rituali pseudoreligiosi si fanno sempre?
«Sì, ce lo confermano anche indagini recentissime. I rituali sono quelli di sempre. I santi vengono ancora richiamati a sproposito».
Il santuario di Polsi, nel cuore dell' Aspromonte, ricompreso nel territorio del comune di San Luca, ha giocato un ruolo fondamentale nella storia della 'ndrangheta. Non è una fiction, ma realtà: ogni anno, in occasione di un pellegrinaggio popolare dedicato alla Madonna della Montagna, a Polsi si riuniscono i boss di tutta la Calabria e del resto del mondo. È ancora così?
«Il santuario ha giocato un ruolo fondamentale. Di anno in anno, è verissimo, a Polsi veniva confermato o rinnovato l' organismo di vertice a livello provinciale. A giudicare dalle indagini più recenti, non è più così. Ma la presenza a Polsi anche oggi di tantissimi fedeli, e di molti affiliati, è testimoniato dagli uomini dello Stato.
Nel mantenere l' ordine pubblico, allo stesso tempo cercano di capire quanto sia forte la presenza della 'ndrangheta.
ndrangheta 40 arresti il giuramento 7
Devo però dire che a Polsi è stato sostituito il religioso responsabile. E c' è una Chiesa, in questa diocesi, che è molto forte e ferma nei confronti della 'ndrangheta: all' indomani del noto baciamano al boss, mi riferisco al fermo del latitante Giuseppe Giorgi a San Luca da parte dei carabinieri, il vescovo ha sospeso le cresime. Il 21 giugno a San Luca ben trenta adulti avrebbero dovuto prendere la cresima.
Da parte del vescovo Francesco Oliva - che per spiegare la sua decisione ha richiamato gli insegnamenti di Gesù - è stata un' assunzione di responsabilità molto importante, che mette in pratica l' affermazione della regola che papa Francesco ha annunciato non solo in Calabria: chi è mafioso, è fuori dalla Chiesa. Queste posizioni così nette, e penso alla sospensione delle cresime, sono un messaggio importantissimo».
ndrangheta 40 arresti il giuramento 8
Da quel che lei spiega, nonostante i soldi, nonostante i modelli televisivi, nonostante i tempi, la secolarizzazione non è arrivata al cuore della 'ndrangheta. E quindi ancora di più la scomunica annunciata da Bergoglio può fare la differenza?
«Esattamente. Qui la Chiesa ha un peso importante. E prendere le distanze dalla 'ndrangheta significa isolarla. Non è poco».
3. TRA COSA NOSTRA E CASA DI DIO CONFLITTI MA ANCHE SILENZI COMPLICI
Francesco La Licata per 'la Stampa'
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Chiesa e mafia portano avanti, da decenni, un lungo duello che non si è ancora concluso. Non è bastata neppure l' ira del Papa polacco che lanciò, nel 1990, una dura scomunica contro i boss dalle alture di Agrigento, puntando l' indice verso gli assassini del giovane magistrato Angelo Livatino. Con la più volte sperimentata tecnica del «calati juncu ca passa la china», Cosa nostra riesce sempre a far riassorbire anche le ferite più sanguinanti e dolorose e a riprendere il suo cammino fatto sì di lupare e di sangue ma anche di ordinaria corruzione.
È una storia che va avanti con molti alti e bassi, quella del confronto a distanza tra la «casa di Dio» e la finta benevolenza, la falsa religiosità di assassini che si nascondono dietro a una devozione di comodo, capace di aprire più di una breccia negli animi del popolo del Meridione d' Italia.
Molti preti, troppi, nel corso degli anni - specialmente nelle dimenticate contrade dei poveri senza speranza - hanno finito per funzionare da puntello al potere mafioso. Bastava abbondare in laute offerte per "meritarsi" il nome scolpito nelle prime panche della chiesa, quelle più vicine all' altare. Così fior di assassini potevano seguire le funzioni in posizione privilegiata, fregiandosi pure del titolo di benefattori. E accadeva spesso che nella stessa fila delle panche dei "buoni" sedessero persone per bene e autentici delinquenti, tutti sotto l' occhio benevolo del parroco. I suicidi, i comunisti non avevano diritto alla funzione funebre, il capomafia veniva promosso al paradiso.
Roba da parroci di campagna? Non solo. Il problema riguardava anche i cardinali e le alte sfere. È pensabile che la Chiesa non sapesse quello che sapevano tutti i fedeli del Santuario della Madonna di Polsi, in Aspromonte, dove si tenevano vere e proprie assemblee della 'ndrangheta? E che dire della "polemica" sorta all' inizio dei Sessanta fra il cardinale Ernesto Ruffini, al vertice della Chiesa palermitana dal 1946, e monsignor Angelo Dell' Acqua, segretario di Stato di Paolo VI, eletto Papa da appena sei giorni?
Era esplosa la "giulietta di Ciaculli" (giugno 1963), lasciando per terra i cadaveri di sette servitori dello Stato: una delle prime stragi di mafia. Il 5 agosto successivo il segretario di Stato del Vaticano scrisse una lettera a Ruffini per segnalare che la comunità valdese di Palermo aveva fatto affiggere dei manifesti di condanna contro la mafia, cosa che la comunità cattolica non aveva sentito di fare.
La risposta di Ruffini fu molto dura. Definì la presa di posizione valdese un «ridicolo tentativo di speculazione protestante» e l' accostamento tra mafia e sentimento religioso una «supposizione calunniosa messa in giro dai socialcomunisti, i quali accusano la Democrazia cristiana di essere appoggiata dalla mafia». Il resto della lettera era un' analisi che proponeva un' interpretazione minimalista del fenomeno mafioso.
Una posizione, quella della Chiesa palermitana, che certamente non aiutava la spinta innovatrice delle forze politiche antimafia, anzi indeboliva le poche isole di resistenza che combattevano Cosa nostra. Anche se, a onor del vero, bisogna dare atto a Ruffini di un successivo ripensamento, concretizzatosi nella Lettera pastorale del 1964, emblematicamente titolata «Il vero volto della Sicilia».
Il cardinale condanna sì le «speculazioni politiche» insite nella lotta alla mafia (accusa il sociologo Danilo Dolci e il romanzo «Il Gattopardo» di vilipendio dei siciliani), ma nello stesso tempo, per la prima volta, ammette l' esistenza del problema-mafia e critica le inadempienze dei pubblici poteri.
Ce ne vorrà di strada per arrivare alla condanna netta.
Anni in cui i boss hanno potuto usare la religione a loro piacimento. Basta ricordare il matrimonio clandestino di Totò Riina e Ninetta Bagarella, celebrato da ben tre preti (uno parroco) con tanto di benedizione divina. Oppure il frate carmelitano, don Frittitta, che andava a dare la comunione al latitante Pietro Aglieri, o ancora l' assassinio del frate francescano padre Giacinto, ucciso nel convento di Santa Maria di Gesù per "segnare" l' inizio della seconda guerra di mafia.
Con l' uccisione del prefetto Dalla Chiesa si verifica il primo corto circuito ufficiale con Cosa nostra, ma anche contro l' ignavia dei «poteri costituiti». Fu merito del cardinal Salvatore Pappalardo e della sua celebre omelia, pronunciata ai funerali del generale. «Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata», tuonò Pappalardo guardando le facce terree degli uomini di governo e delle istituzioni schierati sulle prime panche della basilica di San Domenico. Non piacque alla mafia, quel discorso, e così Cosa nostra gli mandò un messaggio, facendogli trovare vuota la cappella del carcere dell' Ucciardone, in occasione del precetto pasquale. Nessun detenuto si presentò alla comunione.
Ma la breccia era fatta. Molti preti cominciarono a lottare a viso aperto. Ricordiamo ancora il gesuita, padre Angelo La Rosa, al mercato della Vucciria, in piedi sulle cassette della frutta, che dialoga con la madre di un morto ammazzato e le dice, duro: «Signora i figli è meglio piangerli da vivi che da morti».
Prende corpo, finalmente, la netta opposizione alla mafia. Una battaglia difficile, affidata a coraggiosi preti di frontiera che si caricano l' onere di strappare ai boss pezzi di territorio e il dominio sui giovani. La scomunica di Wojtyla arriverà come il suggello alla svolta. Una svolta che sarà pagata anche col sangue di padre Pino Puglisi, ucciso a Brancaccio, Palermo, per impedirgli di "salvare" i giovani di quello sfortunato quartiere, sottraendoli all' inganno mafioso. Neppure la violenza spietata, però, ha fermato l' onda lunga, come ci dirà papa Francesco.
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