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Francesco Bonazzi per Dagospia
Berlusconi era colpevole e andava condannato per il caso Ruby. Ma un manipolo di giudici forse correi, o forse pietosi, ha deciso di assolverlo comunque dalle accuse della sempre sia lodata Procura di Milano. Stiamo vaneggiando? No, tiriamo solo le banali conseguenze semantiche del titolo che campeggia oggi sulla prima pagina dell’edizione digitale di “Repubblica”: “La Cassazione salva Berlusconi”.
La Cassazione “salva” Berlusconi? Ma che storia è? Una notizia come la sentenza della Suprema corte sul bunga bunga è una di quelle rare occasioni in cui si può titolare con la massima chiarezza: “Berlusconi assolto” o “Berlusconi condannato”. Fine. O al massimo, volendo buttarla sull’agonismo, “Berlusconi vince” o “Berlusconi perde”. Il pareggio non è previsto.
Far credere invece ai propri lettori che il Cavaliere sia stato “salvato” serve solo a non riconoscere il verdetto “sul campo”. Un po’ come dire, dopo una finale di Champions League vinta dal Real Madrid, che “il portiere avversario fa vincere il Real”.
Di fronte a un’accusa tanto grave, però, il lettore indignato di “Repubblica” si aspetterebbe quantomeno di trovare un pezzo che racconti chi sono e cosa fanno questi oscuri magistrati che hanno “salvato” il Berlusca. Magari sono toghe azzurre, o hanno avuto rapporti non commendevoli con Mediaset. O sono parenti dell’avvocato Ghedini. Invece niente. Resteremo tutti con il dubbio.
E nulla sapremo anche delle motivazioni del presunto salvataggio. Non si voleva infierire su un anziano pregiudicato? Si ritiene che alla sua età abbia diritto alle “cene eleganti”? La Boccassini non è popolare in Cassazione? Se si assolve Berlusconi poi lui è più accondiscendente con Renzi e le sue riforme? E’ intervenuto l’amico Putin?
Tutte domande senza risposta. Ma resta anche la delusione per non aver osato di più, dalle parti di Largo Fochetti. Con la stessa logica, e con maggior chiarezza, si sarebbe potuto titolare: “Berlusconi la fa franca ancora una volta. La Cassazione assolve il noto pregiudicato”. E’ un titolo un po’ partigiano, certo, ma almeno non contiene allusioni.
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