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Estratto dell'articolo di Paolo Mastrolilli per “La Repubblica”
joe biden g20 rio de janeiro foto lapresse
Fermare la pena di morte a livello federale, o quanto meno impedire a Donald Trump di rilanciare le esecuzioni quando il 20 gennaio tornerà alla Casa Bianca. È il senso dei provvedimenti annunciati ieri da Joe Biden, che ha commutato nell’ergastolo le sentenze di 37 condannati a morte.
Una scelta politica, ma anche morale, basata almeno in parte sulla sua fede cattolica, alla vigilia della visita che farà il 10 gennaio in Vaticano a Papa Francesco. Nella speranza magari che questo atto contribuisca anche ad una riflessione generale, sulla necessità di mettere fine ad una punizione per la verità in declino da anni in America.
Negli Usa le condanne a morte possono essere comminate dal sistema giudiziario federale, ossia nazionale, oppure da quello dei singoli 50 stati. Il presidente ha il potere di grazia nel primo caso, ma non nel secondo. Nei bracci della morte federali oggi ci sono 40 detenuti, mentre in quelli statali sono oltre 2.100.
PENA DI MORTE NEGLI STATI UNITI
Nel 2020 Biden aveva fatto campagna elettorale promettendo la fine della pena capitale, almeno al livello dell’amministrazione che gli competeva, ma le iniziative di legge presentate al Congresso sono fallite. Quindi aveva imposto una moratoria alle esecuzioni, chiedendo anche ai procuratori federali di non chiedere questa punizione, con l’eccezione di chi commetteva stragi terroristiche, o motivate dall’odio politico, razziale e religioso. Trump - che ieri ha parlato di «decisione ripugnante » - invece nel primo mandato aveva fatto giustiziare 13 condannati, e ora minaccia di estendere questa punizione anche ai trafficanti di droga e di esseri umani.
«Io - ha dichiarato ieri Biden - sono convinto più che mai che dobbiamo smettere di usare la pena di morte a livello federale. In buona coscienza, non posso restare fermo e consentire alla nuova amministrazione di riprendere le esecuzioni che io ho fermato». Quindi ha commutato nell’ergastolo le sentenze di 37 condannati, ossia tutti quelli detenuti nelle carceri federali, con tre eccezioni: Robert Bowers, che nel 2018 aveva ucciso 11 fedeli nella sinagoga Tree of Life di Pittsburgh; Dylann Roof, suprematista bianco responsabile della morte di nove afro americani in una chiesa di Charleston; e Dzhokhar Tsarnaev, colpevole dell’attentato alla Maratona di Boston in cui avevano perso la vita tre persone.
PENA DI MORTE NEGLI STATI UNITI
Alcuni famigliari e amici delle vittime, come il poliziotto Donnie Oliverio, hanno applaudito la decisione: «Ammazzare il killer del mio partner Bryan Hurst non mi avrebbe dato la pace». Altri, come i parenti dei morti di Charleston, hanno ringraziato il presidente per non aver salvato Roof. Solo la settimana scorsa Biden aveva avuto una telefonata con Francesco, che gli aveva chiesto di agire contro la pena di morte, e il 10 gennaio sarà in Vaticano per salutarlo.
Secondo i dati del Death Penalty Information Center, nel 2024 sono avvenute 25 esecuzioni in 9 stati, ossia una in più rispetto al 2023. La tendenza però è in calo da anni, considerando che nel 2000 erano stati giustiziati 85 condannati. La Gallup ha rilevato che l’appoggio per la pena di morte negli Stati Uniti è al 53%, ossia il livello più basso da mezzo secolo. Dunque la maggioranza dei cittadini resta favorevole, ma il calo è costante. [...]
Il 20 gennaio però nell’Ufficio Ovale tornerà Donald Trump, che non solo è favorevole alla pena di morte, ma vuole allargarla ad altri reati che non comportano necessariamente l’omicidio. Biden non può impedirglielo, anche se per cambiare le leggi sarà necessario un passaggio al Congresso, dove non è detto che i repubblicani avranno la maggioranza necessaria a procedere.
[...] Una delle prime potrebbe essere quella di Luigi Mangione, incriminato anche a livello federale per l’omicidio del ceo di UnitedHealthcare Brian Thompson, a meno che non inizi la rivoluzione delle coscienze auspicata da Biden.
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