DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Luigi Ippolito per il ''Corriere della Sera''
Boris Johnson è già arrivato al capolinea? Il rischio è concreto: che finisca cioè per essere il primo ministro più «breve» della storia britannica. Perché lui si è cacciato in un vicolo cieco, da dove le vie d’uscita suonano quasi surreali: compresa l’ipotesi che possa finire in galera.
Ma andiamo per ordine. Domani verrà firmata dalla Regina, e dunque entrerà in vigore, la legge approvata dal Parlamento la scorsa settimana che impone al premier di chiedere un rinvio della Brexit al 31 gennaio prossimo se entro il 19 ottobre non sarà stato trovato un accordo con la Ue: in mancanza del quale la Gran Bretagna si schianterebbe fuori dall’Unione senza alcuna intesa a fare da paracadute. Il temuto scenario del no deal, per evitare il quale una pattuglia di conservatori moderati si è ribellata al governo e ha fatto fronte comune con le opposizioni per approvare la legge in questione.
Ma da questo orecchio Boris proprio non ci sente. Lui continua a ripetere che condurrà in porto la Brexit entro la fine di ottobre, costi quel che costi, e dunque non si acconcerà mai a scrivere la lettera alla Ue con cui chiedere un rinvio: «Piuttosto finisco morto in un fosso». Ma cosa intende dire? Che semplicemente ignorerà la legge?
carrie symonds in somaliland boris johnson
È quello che cominciano a temere le opposizioni: che dunque ieri hanno fatto sapere di essere al lavoro per lanciare una azione legale contro il premier «disobbediente». Con quali conseguenze? Dominic Grieve, uno dei conservatori ribelli che è stato espulso dal partito, è l’ex procuratore generale del Regno e dunque uno che di legge se ne intende: se Boris non si attiene alla legge — ha spiegato — verrà portato in tribunale, dove il giudice gli lancerà un’ingiunzione a obbedire; se si rifiuta, finirà in galera.
Uno scenario estremo, senza precedenti: ma questa è ormai una crisi estrema. Johnson è chiaramente in affanno, gli sono rimaste poche carte in mano da giocare. Sembra confuso, si sta aggirando per la Scozia fra mucche e tori, ma l’altro giorno ha pronunciato un discorso dove è sembrato smarrire il filo del ragionamento (se ce n’era uno).
La mossa che tenterà domani è già fallita mercoledì scorso, ma lui ci riprova lo stesso: chiederà al Parlamento di indire elezioni anticipate, per le quali occorre la maggioranza dei due terzi. Le opposizioni però non hanno nessuna intenzione di stare al suo gioco e hanno già detto che affosseranno la sua manovra: i laburisti e gli altri acconsentiranno al voto solo quando saranno sicuri al 100 per cento che la minaccia del no deal è stata sventata.
Boris potrebbe tentare di aggirarli, cambiando la legge elettorale con una maggioranza semplice: ma anche questa strategia non è priva di rischi e difficilmente avrebbe successo. Allora si sussurra dell’«opzione nucleare»: Johnson che si dimette, magari addirittura votando la sfiducia a se stesso, per sfidare il leader laburista Jeremy Corbyn a formare lui un governo. E dato che questa impresa è tutt’altro che facile, le elezioni diventerebbero inevitabili.
Insomma, le opzioni di Johnson sono una peggio dell’altra: e la sensazione è che la sua strategia da kamikaze si sia rivelata un clamoroso boomerang. Lui puntava a spaventare gli europei con la minaccia del no deal, ma ha ottenuto il risultato di coalizzare il Parlamento contro di sé. E le mosse successive, al limite dell’incostituzionalità — come la sospensione delle Camere, fra qualche giorno, per cinque settimane — non hanno fatto altro che esacerbare la situazione.
Il malumore comincia a serpeggiare anche nelle file del governo: e in questo momento si indirizza contro il suo mefistofelico consigliere, quel Dominic Cummings che ha ispirato tutte le sue mosse. Ma presto Boris potrebbe non avere più parafulmini.
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