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Silvio Buzzanca per "La Repubblica"
Umberto Bossi e Roberto Maroni sono ai ferri corti. L'anziano leader della Lega rimprovera al suo successore di non avere rispettato i patti e di avere "conservato" la poltrona di segretario federale che aveva promesso di lasciare. E naturalmente lo fa nello stile di Bossi. «Maroni ha detto da 6 mesi che si dimetteva da segretario, ma poi deve essersi accorto di avere il culo più largo», dice il Senatur materializzatosi ieri mattina a Montecitorio.
Un riferimento, quello bossiano, allo slogan di Maroni che ha sempre assicurato di volere rispettare il principio "un culo una poltrona". Facendo capire di non volere ricoprire nello stesso tempo l'incarico di "governatore" della Lombardia e di leader federale della Lega. Ma lunedì scorso il Consiglio federale ha respinto le sue dimissioni dall'incarico e lo ha riconfermato fino al 2015. Dando modo a Bossi di affondare il colpo: «La Lega è in subbuglio perché è abituata ad avere segretari che mantengono la parola; bisogna mantenere la parola».
Maroni non prende bene la sortita di Bossi. E affida il suo malumore al solito "cinguettio". «Lunedì scorso, come promesso, ho presentato le mie dimissioni al consiglio federale. Il consiglio le ha respinte all'unanimità : adesso basta», scrive l'ex ministro dell'Interno. Infastidito, un po' minacciato, dal ritorno sulla scena del Senatur e dalla ripresa dello scontro fra i bossiani dell'ex "cerchio magico" e i maroniani "barbari sognanti".
Maroni teme infatti che prenda corpo il progetto bossiano di convocare per il 7 aprile una sorta di congresso a Pontida che dovrebbe acclamare un nuovo segretario. Ovvero lo stesso Bossi. Spaccando il movimento, provocando una scissione che potrebbe trovare una sponda in Giulio Tremonti. Non è un caso che ieri Bossi abbia lanciato l'ex ministro del Tesoro come candidato al Quirinale. E non un caso che Maroni nei giorni scorsi abbia fatto intendere di avere stretto un'alleanza elettorale con l'ex ministro del Tesoro, inserendo nel simbolo il suo nome come candidato premier, proprio per evitare la saldatura Bossi-Tremonti.
Adesso però Maroni non vuole andare allo scontro. Anche perché ha già dei bei problemi con le turbolenze dei veneti dove anche Tosi e Zaia litigano sulle responsabilità di una pesante sconfitta. Allora il "governatore" fa sapere che se Bossi vuole andare via si accomodi pure. Perché lui ha in mente qualcosa di nuovo e di diverso dalla vecchia Lega. Prova ne sia che, dovendo scegliere l'iscrizione al gruppo consiliare lombardo, ha optato per la sua lista civica.
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