boris johnson

BREXIT, LA GUERRA VERA INIZIA ORA - BORIS HA VINTO LA SUA BATTAGLIA CON L'UNIONE EUROPEA, ORA SI TROVA LE ROGNE IN CASA. GLI SCOZZESI GIÀ PREMONO PER UN NUOVO REFERENDUM - SUI GIORNALI ITALIANI LONDRA VIENE DIPINTA COME PYONGYANG, IL CHE FA SEMPRE PARTE DEL COSIDDETTO PROJECT FEAR («PROGETTO PAURA»), CHE PERÒ NON HA SORTITO GLI EFFETTI SPERATI. LA BREXIT ALLA FINE POTREBBE PORTARE MOLTI VANTAGGI AGLI INGLESI. CHE INTANTO SI SONO VACCINATI UN MESE PRIMA DI NOI…

 

 

 

1 – BREXIT, UNA FESTA MESTA ORA È TUTTI CONTRO TUTTI E LA SCOZIA VUOLE FUGGIRE

Erica Orsini per “il Giornale

 

Brexit, l'avventura inizia soltanto adesso. Chi pensava che dopo quattro anni di agonia, una firma potesse finalmente mettere fine alla storia intrapresa con il divorzio tra Regno Unito ed Europa si sbagliava di grosso.

 

boris johnson 1

Tutto avrà inizio soltanto ora, dopo che l'accordo portato a casa da Boris Johnson come una strenna di Natale dell'ultimo minuto, verrà illustrato e approvato dal Parlamento riunito in seduta straordinaria il 30 dicembre. Due giorni dopo il Paese uscirà dal periodo di transizione per entrare a pieno diritto nella nuova era del post Brexit.

 

Non ci sono dubbi che l'accordo passerà, dato che un sostegno ufficiale è già stato garantito anche dal partito laburista, ma questo non significa che tra maggioranza e opposizione non regnino comunque dei malumori. Più tardi di così non si poteva arrivare e anche i Conservatori euroscettici mugugnano perché non avranno il tempo necessario per valutare nel dettaglio quel documento di 1246 pagine pubblicato appena sabato scorso.

 

Mister Johnson dal canto suo gongola, dato che passerà alla storia anche per colui che ha realizzato la Brexit e ieri, in un'intervista esclusiva al quotidiano The Daily Telegraph, ha annunciato l'arrivo di «grandi cambiamenti» spiegando che ora «dipende soltanto da noi cogliere l'opportunità offerta dalla Brexit».

 

BORIS JOHNSON URSULA VON DER LEYEN

«Il governo ha fatto degli sforzi enormi in aree dove ora la Gran Bretagna potrà avere standard differenti da quelli europei - ha detto il Premier - e abbiamo un'agenda molto precisa per usare questo momento per unire ed elevare il livello delle opportunità a nostra disposizione». Certo l'accordo non è perfetto, Johnson è il primo ad ammetterlo.

 

«Forse non siamo riusciti ad ottenere quello che avremmo voluto sui servizi finanziari» ha detto al quotidiano. E difatti, dalla fine della transizione le società di servizi, incluse banche e assicurazioni non avranno più un accesso garantito al mercato europeo. Una prospettiva che spaventa non poco visto il peso specifico che questo settore ha nell'economia nazionale.

 

Il Cancelliere Rishi Sunak ha tentato di rassicurare la City di Londra che non verrà danneggiata dall'accordo. «Dovremo fare alcune cose in modo differente - ha sottolineato - ma nel piano esiste una cornice di cooperazione in grado offrire la garanzia che rimarremo in continuo contatto con i nostri partners europei».

 

Sunak si è anche detto certo che l'accordo proteggerà i posti di lavoro, cosa di cui invece dubita fortemente l'opposizione. «Alla fine si tratta di un accordo molto diverso da quello che il governo aveva promesso - dice il ministro ombra al tesoro laburista Anneliese Dodds - e vi sono larghe aree della nostra economia trattate con poca chiarezza. Il governo ha ancora molto lavoro da fare in merito».

 

boris johnson

Appaiono insoddisfatti anche i pescatori che accusano Johnson di averli traditi approvando delle «quote» di prodotto che costituiscono «soltanto una minima frazione di quello a cui il Regno Unito avrebbe diritto in base alla legge internazionale».

 

Particolarmente dura sull'argomento il Primo Ministro scozzese Nicola Sturgeon che ha accusato Londra di non aver mantenuto nemmeno una delle promesse fatte ai pescatori scozzesi. Rincara la dose il leader nazionalista scozzese Ian Blackford che voterà contro il piano. «Questo accordo è un disastro per la Scozia e ci taglia fuori dal mondo». Probabile che il governo scozzese torni alla carica chiedendo un nuovo referendum per l'Indipendenza E Dublino si aggiunge al coro: «Pagheremo noi l'Erasmus per i ragazzi nordirlandesi che hanno gli stessi diritti degli irlandesi».

 

 

2 – LONDRA APRE AL MONDO MA SUI GIORNALI SEMBRA CHE DIVENTI LA COREA DEL NORD

Gabriele Carrer per “la Verità

 

BORIS JOHNSON E IL VACCINO

Alla fine è una Brexit soft. Uno scisma, certo. Ma, visti i contenuti delle 1.255 pagine dell'accordo, Regno Unito e Unione europea restano alleati. Ma è curioso notare quanto accade da questa parte della Manica: i più convinti europeisti festeggiano sostenendo di non aver fatto sconti al Regno Unito e allo stesso tempo profetizzano l'Apocalisse sulla «Perfida Albione».

 

Rincari dei prezzi e dei dazi, code per importare le scorte alimentari, fine del programma Erasmus: scenari che sembrano far piacere ai nemici della Brexit. Che però sembrano aver già dimenticato che il cosiddetto Project Fear (tradotto: «Progetto Paura») non ha sortito gli effetti sperati nel 2016: minacciare la catastrofe in caso di uscita del Regno Unito dall'Unione europea, infatti, non ha convinto gli elettori britannici a votare per il Remain.

 

Un esempio degli errori più recenti dei profeti dell'Apocalisse? Il caso Erasmus. Con l'addio al programma europeo, il Regno Unito non si chiude, anzi: il premier ha annunciato un proprio progetto che prenderà il nome del genio dell'informatica Alan Turing e coinvolgerà «le migliori università del mondo». Un altro esempio? Le code alla Manica che tanta preoccupazione hanno suscitato nei giorni scorsi erano motivate dai timori per il no-deal, non dall'intesa raggiunta.

 

Medici inglesi protestano contro Rishi Sunak e Boris Johnson

Inoltre, ipotizzare un Regno Unito bloccato e chiuso in sé è l'esatto contrario di quanto prevede il piano Global Britain del premier Boris Johnson, un progetto che ha nel soft power (e quindi nella cultura) una delle armi principali: basti pensare che nel 2021 il Regno Unito organizzerà il G7 (e ha invitato anche Australia, Corea del Sud e India per ragionare su un'«alleanza delle democrazie» contro la Cina) e la conferenza sul clima Cop26 in partnership con l'Italia.

 

E poi ci sono due elementi sui quali è doveroso soffermarsi. Il primo riguarda la storia e il percorso professionale di Alexander Boris De Pfeffel Johnson. Che per la sua famiglia non è Boris come per i media, bensì Al. Nato a New York il 19 giugno del 1964 da una famiglia britannica, il premier britannico ama definirsi un one-man melting pot, cioè un uomo multietnico viste le sue origini inglesi, francesi, tedesche, ottomane, ma anche cristiane, ebraiche e musulmane (il bisnonno, Ali Kemal, fu ministro dell'Impero ottomano un secolo fa).

DAVID FROST NEGOZIATORE BREXIT

 

Educato alla competizione dal padre Stanley, anch' egli deputato del Partito conservatore a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ha studiato in una delle più prestigiose scuole al mondo: Eton, da cui sono passati celebri scrittori come George Orwell, economisti rivoluzionari come John Maynard Keynes, i principi Harry e Williams, oltre a ben 19 primi ministri britannici.

Dopo Eton, la carriera giornalistica nelle testate delle galassia conservatrice britannica: prima il Times; poi il Telegraph, di cui è stato corrispondente da Bruxelles e vicedirettore; infine lo Spectator, settimanale di riferimento che spesso ha anticipato e dettato la linea al Partito conservatore, di cui è direttore dal 1999 al 2006.

 

brexit

Eletto alla Camera dei Comuni nel 2001, nel 2008 è diventato sindaco di Londra conquistando la rielezione nel 2012, l'anno delle Olimpiadi. Da primo cittadino della città globale per eccellenza si è fatto notare per le sue politiche ispirate al cosiddetto one-nation conservatism, che nel 2010 riassunse così: «Voglio che Londra sia un luogo competitivo, dinamico per venire a lavorare».

 

È il racconto di un cittadino del mondo. Tanto che nel corso di un'intervista con David Letterman quando ancora era sindaco di Londra e tra i politici più amati del Regno Unito, scherzò (chissà quanto) sostenendo che «tecnicamente» lui può anche «diventare presidente degli Stati Uniti», visto che ha la doppia cittadinanza.

 

Il secondo elemento di cui tener conto è il ruolo dell'opposizione del Partito laburista guidato da Keir Starmer, che soltanto un paio di settimane fa veniva incensato dalla stampa progressista italiana come il punto di riferimento, assieme al presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden, della nuova sinistra moderata. Starmer ha chiesto ai suoi deputati di votare a favore dell'accordo raggiunto dal premier Johnson mercoledì, quando la Camera dei Comuni si riunirà.

nicola sturgeon al voto

 

La scelta è tra l'accordo e il no-deal, lo scenario che da sempre preoccupa la sinistra britannica (e non solo). Molti laburisti stanno minacciando la rivolta interna. Ma i conservatori hanno un'ampia maggioranza e il voto della sinistra non è necessario. Un test cruciale per il Partito laburista, per quella responsabilità a cui spesso è stato richiamato soprattutto sul dossier Brexit, ma non solo.

 

Alla luce di certe di dichiarazioni apocalittiche provenienti dal mondo progressista italiano viene dunque da chiedersi se certi commentatori occasionali delle dinamiche britannici non sottovalutino il ruolo del Parlamento di Londra, abituati forse alle recenti tendenze italiane, con un premier poco incline al confronto in Aula.

 

Se proprio si vuole ricercare una fragilità del progetto Global Britain (quantomeno di quello sulla carta) bisognerebbe soffermarsi sugli aspetti relativi all'intelligence e alla cooperazione militare. Con la Brexit, i Five Eyes (l'alleanza di condivisione di informazioni sensibili che riunisce Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) rimangono senza un alleato nell'Unione europea e un «ponte» nell'intelligence del Vecchio continente. Circostanza che, guardata da questa parte della Manica, può rappresentare un'occasione per i Paesi europei. Per la Francia e per l'Italia, in particolare.

             

nicola sturgeon