DAGOREPORT - MARIA ROSARIA BOCCIA COLPISCE ANCORA: L'EX AMANTE DI SANGIULIANO INFIERISCE SU "GENNY…
1. TWEET DI CALENDA
2. LUNGHI COLTELLI
Nino Bertoloni Meli per il Messaggero
«Grazie Carlo», scrive Paolo Gentiloni bruciando tutti sul tempo. Il grazie è a Carlo Calenda, che ha annunciato di iscriversi al Pd, La mossa del ministro dello Sviluppo cala in un Pd in pieno caos post sberla elettorale, e dà il segnale di come, venuta meno una leadership, si stia già pensando a quella futura. Se sarà Calenda o altri ovviamente si vedrà, fatto sta che in giornata è un crescendo di bene Calenda, bravo Calenda, che bella notizia, pronunciati da personaggi come Martina, Richetti, Rosato e altri.
LUNGHI COLTELLINel Pd è vigilia di lunghi coltelli. Quello che doveva, e poteva, avvenire prima delle elezioni - una congiura di tutti per far fuori il segretario, a cavallo delle elezioni siciliane - si sta materializzando adesso, a urne chiuse. E' una sorta di legge dei partiti di sinistra con leadership non più a vita (com'era una volta): se vinci le elezioni sei incoronato, se le perdi, sei disarcionato. Renzi lo sa, per questo ha lasciato, ma le modalità dell'addio alla segreteria non solo non sono piaciute, ma hanno ingenerato sospetti, malumori, rivolta. E' in atto una raffica di dimissioni dei dirigenti locali. I segretari di Campania, Umbria e Marche si sono dimessi.
Raccontano che al Nazareno si stiano già facendo i conti dei numeri in direzione, dove non ci sarebbe più la maggioranza granitica renziana registrata da sempre. Il motivo è che tutti i big di maggioranza non di provenienza renziana si sarebbero staccati dal segretario semi dimissionario e sarebbero pronti a sfiduciarlo. Nomi del peso di Delrio, Martina, Franceschini, Gentiloni, non solo quindi le minoranze di Orlando ed Emiliano. Tutti tranne il cosiddetto giglio magico renziano e tranne Orfini, il presidente. La richiesta che accomuna tutti i congiurati è collegialità. Spiegano più o meno con le stesse parole: «Il segretario deve dimettersi sul serio, il che vuol dire che non può dettare la linea o avere voce in capitolo sui passaggi della crisi».
LA FASE POST RENZIANACollegialità significa che la gestione del partito, nella fase post renziana, va affidata a una sorta di comitato di garanti, cinque persone al massimo, che gestiscano il partito fino alla fase congressuale. Raccontano di una rottura, anche sul piano personale, con l'amico Paolo, quel Gentiloni che Renzi volle alla Farnesina e che poi favorì come suo successore a palazzo Chigi, situazione che il gentiloniano doc Roberto Giachetti sintetizza così: «Una volta si diceva che io dichiaravo quello che Renzi non poteva dire, adesso dico che ho sempre ragionato con la mia testa e che non dichiaro per conto di nessuno. Punto».
Il sospetto degli anti renziani è che il Matteo dimissionario anzi no stia di fatto già lavorando a farsi un partito tutto suo, fregandosene del Pd considerato ormai un luogo a perdere asfissiato dalle correnti e dai capicorrente. Di qui, raccontano sempre i congiurati, le voci fatte circolare di affidare la direzione dei gruppi parlamentari a Maria Elena Boschi alla Camera e al segretario toscano Dario Parrini al Senato, due renziani a doppia mandata che, ove mai eletti, gestirebbero tutta la fase delle trattative per la formazione di maggioranza e nuovo governo. Si arriverà alla sfiducia? Non è detto, i congiurati stanno tentando di evitare trabocchetti politici che potrebbero far resuscitare il leader politicamente sconfitto.
L'ALLEANZAAl primo punto c'è la questione dell'appoggio o meno al tentativo del M5S di dar vita a un governo. Appoggio esterno del Pd? Non sfiducia? Coinvolgimento comunque pur di farlo andare in porto? Per la soluzione pro cinquestelle non c'è più il solo Emiliano a perorarlo dalla Puglia, si sono aggiunti personaggi come Sergio Chiamparino dal Piemonte, secondo il quale «non esistono tabù, io ad esempio collaboro con la Appendino a Torino senza problemi».
Qualcosa di simile, sia pure più sfumata, ha fatto trapelare Andrea Orlando: «La tenuta istituzionale dipende da noi, ricordiamocelo». Una linea magari responsabile, ma che nel Pd è vissuta come un harakiri, al punto che quanti erano stati sospettati di puntarci, magari per ottenere qualcosa in cambio dai cinquestelle, sono corsi ad azionare il freno. Franceschini: «Siamo per stare all'opposizione, nessun accordo con il M5S, chiaro?». Lo stesso per il vice segretario Martina. E già gira voce che in direzione verrebbe presentato, dai renziani, un documento che fissa per il Pd la linea dell'opposizione con l'aggiunta che spetta ai vincitori delle elezioni, M5S e centrodestra, trovare la soluzione e governare. Da qui a lunedì c'è ancora tempo per trovare una mediazione collegiale o per rompere e andare alla conta.
CALENDA BONINOFRANCESCHINI RENZI GENTILONI
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