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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
«Mio padre era un barista e mia madre una cameriera. E io corro per diventare presidente degli Stati Uniti d’America». Marco Rubio, 43 anni, sta costruendo la sua campagna elettorale sul valore del merito. Ma al momento tutti i sondaggi lo danno perdente sia nelle primarie repubblicane contro Jeb Bush sia nell’eventuale testa a testa con la democratica Hillary Clinton. Due dinastie, i Bush e i Clinton, si contendono la carica istituzionale più importante del mondo e nel Paese che si considera un modello universale di apertura, con l’ascensore sociale in continuo movimento.
I clan familiari, in realtà, continuano a essere parte fondamentale dell’establishment politico ed economico. E non solo negli Stati Uniti come racconta l’inchiesta appena pubblicata dall’ Economist . I leader di Giappone, Corea del Sud, Filippine e Bangladesh sono tutti imparentati con ex premier o ministri. In India continua la saga dei Gandhi, in Pakistan quella dei Bhutto, in Kenya dei Kenyatta. In Argentina Néstor Kirchner di fatto trasferì la presidenza dello Stato alla consorte Cristina Fernández, come se fosse un affare privato.
hillary clinton nel video in cui annuncia la sua candidatura
In Europa si segnala il Belgio, dove il premier Charles Michel, 39 anni, è figlio di Louis Michel, 67 anni, ex ministro ed ex commissario europeo. In Francia fa testo il clan dei Le Pen. I Michel sono liberal-riformatori; i Le Pen ultra nazionalisti. Ma le differenze ideologiche si azzerano quando ci sono di mezzo legami di sangue.
Queste impalcature intralciano la trasparenza, contraddicono il principio di pari opportunità. Poggiano su percorsi educativi preferenziali o semplicemente sul trasferimento tra le generazioni delle reti relazionali o clientelari. Risultato, secondo una ricerca del New York Times : il figlio di un governatore ha 6 mila volte più probabilità di raggiungere la stessa carica del padre rispetto a un qualsiasi altro coetaneo.
In Gran Bretagna 57 parlamentari su 650 sono imparentati con rappresentanti delle due Camere.
JEB E IL PADRE GEORGE HERBERT WALKER BUSH
Il «patrimonialismo», cioè «l’umana tendenza a favorire familiari e amici», secondo la definizione di Francis Fukuyama citata ancora dall’ Economist , attraversa tanto la politica quanto l’economia. Le imprese su base familiare rappresentano il 90% del totale sul pianeta. Una cifra enorme, ma che tiene dentro anche i negozietti gestiti da marito e moglie o da genitori e figli.
Per molto tempo gli economisti, e su questo punto post-keynesiani e liberisti erano d’accordo, hanno sostenuto che le grandi aziende familiari si sarebbero inevitabilmente aperte a nuovi capitali e quindi a nuovi soci. Oggi si può osservare che i vecchi recinti sono rimasti quasi intatti. Secondo il Boston consulting group il 33% delle società americane e il 40% di quelle francesi e tedesche sono ancora controllate da famiglie. È un fenomeno che vale anche per l’Italia: dagli Agnelli, ai De Benedetti; dai Pirelli ai Ferrero. Fino ad arrivare al gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi, al centro di una lunga discussione sul passaggio delle consegne da parte dell’ex premier ai figli che potrebbe riguardare sia la sfera degli affari sia quella della politica.
Le grandi famiglie sono sopravvissute alla «distruzione creatrice» del capitalismo e presidiano in forza l’economia reale e la finanza, da un capo all’altro del pianeta. Due esempi finali: le società riconducibili agli Agnelli capitalizzano il 10,4% in Borsa; le prime 15 società familiari coprono addirittura l’84% del prodotto interno lordo di Hong Kong.
cristina kirchnerFamiglia Berlusconi Eleonora Piersilvio MArina Silvio BArbara Luigi
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