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1. SALLUSTI, IL QUIRINALE «ESAMINA IL CASO»
PER BERLUSCONI: «PAGINA DI GIUSTIZIA NEGATA»
Corriere.it
«Il presidente Napolitano sta esaminando - oggi ha visto il ministro Severino - ogni aspetto della complessa vicenda Sallusti» e «considera tutte le ipotesi del caso, particolarmente complesso, che richiede responsabilità da tutti». Pasquale Cascella. portavoce del capo dello Stato Giorgio Napolitano, si affida a Twitter per far capire come si sta muovendo il Quirinale sulla vicenda del direttore de Il Giornale finito ai domiciliari per diffamazione. Giornali ed esponenti politici da giorni chiedono un intervento di Napolitano che, stando ora al suo portavoce, starebbe esaminando il caso con l'ausilio dei suoi consiglieri e del ministro della giustizia.
BERLUSCONI - Sul caso Sallusti oggi è intervenuto Silvio Berlusconi che parla di «un'altra pagina di giustizia negata». «Da tempo - afferma l'ex premier- sostengo l'improrogabile necessità della riforma della giustizia a garanzia del più fondamentale diritto di ogni cittadino: la libertà ». Quindi l'augurio che Alessandro Sallusti «possa riprendere al più presto il suo impegno di direttore e che venga così cancellata agli occhi del mondo questa ulteriore pagina di giustizia negata»
URGENTE RIFORMA - à la prima volta che il Cavaliere si esprime su una vicenda che ha spaccato anche il Parlamento. «L'incredibile vicenda del direttore Sallusti -afferma- condannato in prima istanza a una multa di 5000 euro, trasformata in appello in 14 mesi di carcere, confermati poi dalla Cassazione, non fa che riaffermare l'assoluta necessità e urgenza di tale riforma. Ora sta al mondo politico trovare al più presto una soluzione adeguata che contemperi l'inalienabile diritto di opinione e di informazione con l'altrettanto inalienabile diritto a non vedere lese la propria privacy e la propria onorabilità ».
2. PERCHÃ NAPOLITANO NON SARÃ ALLA PRIMA DELLA SCALA: "SITUAZIONE POLITICA DELICATA". IL QUIRINALE CONTA SULLA LEGGE ELETTORALE. L'IPOTESI DEL VOTO IN APRILE
Marzio Breda per il Corriere della Sera
«Sperare malgrado la disperazione», teorizzava il filosofo Ernst Bloch nel suo «Il principio speranza». «Sperare malgrado Berlusconi», dicono, volando molto più basso, gli sherpa dei partiti che hanno finalmente messo a punto una bozza della legge elettorale. Fino a venerdì l'intesa sembrava a portata di mano, quando poi si sono materializzati nuovi ostacoli, soprattutto alcuni dubbi del Cavaliere, che forse preferirebbe mantenere il Porcellum.
Così, si sono riaperte le polemiche e l'aria si è fatta pesante nello stesso Pdl. Tuttavia, tra i negoziatori c'è chi si ostina a credere che sull'accordo - appeso a un filo - si possa ancora andare avanti. Una fiducia che anche Giorgio Napolitano coltiva perché, come dimostrano i suoi richiami affinché si evitino «passi falsi o passi indietro», non si è mai rassegnato a un fallimento su questo fronte. Per lui sarebbe la certificazione dell'incapacità di autoriformarsi della nostra classe politica.
La sorte della legge elettorale, del resto, s'incrocia con la fine della legislatura. Una stagione breve, ma che il capo dello Stato vuole sia condotta sino all'ultimo giorno in modo dignitoso e fruttuoso. Non certo con lo spettacolo cui assistiamo da settimane in Parlamento, fra assenze calcolate e imboscate strategiche di questo o quel partito della maggioranza al momento dell'approvazione di provvedimenti decisivi per mettere in sicurezza l'economia del Paese. Un'inconcludenza che, oltretutto, rischia di logorare il profilo del governo tecnico, minandone la credibilità presso le Cancellerie europee (oltre che presso gli esausti e disorientati cittadini italiani).
Napolitano lo ha spiegato chiaramente ai presidenti di Palazzo Madama e Montecitorio e a diversi leader politici: se non mi garantite che si cambierà atteggiamento in aula, se il lavoro delle assemblee, anziché essere impiegato utilmente, dovesse trascinarsi in un'agonia convulsa e disordinata per la legislatura e per lo stesso esecutivo, beh, allora sarò costretto a sciogliere le Camere prima della loro scadenza... e allora si andrà alle urne il 10 marzo.
Ora, come si ricorderà , il timing di fine legislatura ha alimentato fin dall'estate scorsa un tormentone tra chi pretendeva il voto anticipato (si parlò addirittura di novembre) e chi invece lo voleva al termine naturale (in aprile). Notizie ufficiose di tre settimane fa, davano per sicure - e con il placet del Quirinale - le consultazioni politiche a marzo, in coincidenza con un election day che avrebbe dovuto accorpare il voto regionale di Lazio, Molise e Lombardia. Questo schema è divenuto però impraticabile dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, con il quale si impone alla Regione dell'ex governatore Polverini di votare al più presto. Lì, dunque, si è deciso di aprire i seggi il 10 e 11 febbraio, con una scelta che dovrebbe essere imitata dalle altre due Regioni.
Ecco lo stato dell'arte fino a venerdì scorso. Una sequenza cronologica che si è complicata sia per effetto della sentenza dei giudici amministrativi (il Consiglio di Stato è l'ultima istanza del Tar), sia per le nuove incognite seminate da Berlusconi sul percorso della legge elettorale, cui il presidente tiene moltissimo. Al punto che potrebbe tornare, e lo ha fatto sapere, alla sua idea originaria: congedare cioè il Parlamento il 16 febbraio, in maniera che si aprano le urne il 7 e 8 aprile.
Ciò che, per inciso, consentirebbe un secondo mezzo election day, con l'accorpamento delle consultazioni politiche a quelle previste per la città di Roma e per altri sessanta Comuni. Due possibilità che tengono la politica in bilico, ma che rientrano nelle prerogative costituzionali del capo dello Stato. E la seconda opzione, come ripete ai suoi interlocutori, è subordinata all'impegno di assicurare un decente finale di partita. Altrimenti, tanto vale sbrigare la pratica prima.
Ciascun leader di partito farà i conti con se stesso e con i suoi elettori. Per vigilare su quel che accadrà in questa settimana cruciale, Napolitano ha rinunciato ad essere presente alla prima della Scala, venerdì prossimo. Ci teneva. Ma, a scanso di interpretazioni fuorvianti tra coloro che potrebbero leggere la sua assenza rianimando le polemiche sull'apertura wagneriana (e quindi «tedesca») al posto di un'apertura verdiana (pertanto «italiana»), ha scritto una lettera al direttore d'orchestra Daniel Barenboim, rammaricandosi per non aver accolto l'invito appunto per «cause di forza maggiore». Per lo stesso motivo, ieri ha telefonato al sovrintendente Stéphane Lissner. E per liquidare chi proprio vuole sapere come la pensi in quella futile disputa tra melomani, basta il libro che tiene sulla scrivania: «Wagner in Italia».
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