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Marco Del Corona per il "Corriere della Sera"
Nelle intenzioni delle autorità poteva essere l'atto finale del caso Ai Weiwei, ovvero la sua resa: l'artista avrebbe dovuto pagare entro il 16 novembre i 15,22 milioni di renminbi (oltre 1,6 milioni di euro) in tasse arretrate, interessi e multe. Così Ai avrebbe chiuso quietamente un opaco contenzioso in cui accuse di «crimini economici» mai formalizzate gli sono costate una detenzione extragiudiziale di 81 giorni.
Ma l'artista sembra riuscito a trasformare anche questo diktat in una mobilitazione irridente contro quella che considera l'ottusità di un potere autoritario: migliaia di simpatizzanti stanno contribuendo a raccogliere la cifra. Una sorta di colletta sostenuta da un vigoroso tamtam in rete.
La cifra messa insieme finora sembrerebbe sui 2 milioni di renminbi. Sui diversi account Internet che Ai utilizza per comunicare con la composita galassia di chi lo segue, erano stati indicati i metodi di pagamento: la posta, un conto bancario, il sistema online PayPal, il suo omologo cinese Alipay. «à diventata una grande manifestazione online», ha dichiarato l'artista al Financial Times, aggiungendo che «per ora tengo il denaro ma lo restituirò». Un prestito: «Ogni centesimo sarà reso. Per favore, lasciate un numero di telefono o un indirizzo email», ha scritto su Google+.
La scorsa settimana, Ai aveva replicato all'ingiunzione dell'ufficio fiscale di Pechino ricordando che tutta la documentazione della Fake, la sua società , era stata portata via in occasione del suo arresto. Della Fake, peraltro, è rappresentante legale non Ai Weiwei ma la moglie Lu Qing, mentre la contabile Hu Mingfen era stata a sua volta detenuta per un paio di mesi.
Secondo la stampa di Hong Kong, la madre e il fratello di Ai Weiwei sarebbero pronti a offrire come garanzia per circa metà della cifra chiesta all'artista la casa appartenuta al padre, il poeta Ai Qing.
Mobilitazione e pratica artistica si combinano spesso nel percorso di Ai, che sia un happening anti-censura o un party a base di granchi di fiume contro la demolizione del suo studio di Shanghai.
Stavolta però si temono ripercussioni su di lui. Dopo essere stato rilasciato in giugno, aveva spiegato di non poter parlare della sua vicenda. Tuttavia i suoi tweet acri e beffardi sono ripresi, mentre tre sue opere sono state esposte in una galleria del distretto artistico 798.
Tre anni fa, conversando col critico Hans Ulrich Obrist, l'artista sosteneva - lo si legge nel libro Ai Weiwei Speaks - che «fondamentalmente, gli esseri umani sono mostri; si comportano con spietatezza». Adesso, osservando cosa sta succedendo in suo favore, sembra addolcirsi: «Non conta la cifra» che viene raccolta «ma il numero delle persone coinvolte», perché «il senso della parola popolo è evidente».
Ai Wei Wei
Hu Jintao
pechino
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