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IL MEME DI OSHO SU RENZI DOPO LA VITTORIA DI ZINGARETTI ALLE PRIMARIE
Come ha preso Renzi la sonora sconfitta alle primarie? Malissimo, ovviamente, visto che ha passato mesi ad architettare il modo migliore per succhiare voti a Zingaretti, facendo coincidere il lancio del suo libro con la campagna per il segretario Pd, e mettendo Lotti alle calcagna di Martina e Boschi a tampinare Giachetti, con l'idea (come raccontato fino alla noia) di tenere il rivale sotto il 50% e di far decidere all'assemblea.
Con l'incolmabile distacco dal paese reale che lo caratterizza da quel fatidico 4 dicembre 2016, Pittibimbo era convinto che Martina avrebbe preso il 30%, che Giachetti arrivasse al 25%, e che lui avrebbe potuto giocare ancora le sue carte.
Ora però la strategia deve cambiare. Essendo ancora convinto di essere l'unico con la stoffa del leader all'interno del partito, cercherà di apparire lealissimo con Zingaretti, in attesa del momento in cui toccherà di nuovo a lui scendere in campo (ragazzi, ci crede, che dobbiamo fa').
L'obiettivo del neo-segretario è il 22% alle Europee, soglia che permetterebbe al PD di dichiarare se non vittoria, un buon segno di ripartenza. Però si trova un problema territoriale. Con Beppe Sala che guida cortei e pontifica dal suo fortino milanese, può davvero il partito della fu sinistra avere due teste ben piantate a Roma?
Il ticket Zinga segretario - Gentiloni presidente sa troppo di Romanella, il vino frizzante dei Castelli propinato agli ignari avventori delle fraschette. Solo che questo duo è tutto tranne che frizzantino: difficile trovare due politici più mosci di così. Ed è qui che torna il Beppino milanese: lui sogna di proporsi come uomo del fare, visto anche il suo passato di manager privato e pubblico. E di fare, prima o poi, il candidato premier, visto che il ruolo di segretario di partito gli fa accapponare la pelle. Inoltre, e a differenza del governatore Fontana, Sala ha la fiducia di Carlo Messina, e il sostegno di Banca Intesa a Milano è fondamentale.
Nel capitolo arrivi/partenze, come siamo messi? Da una parte si tira fuori l'usato sicuro Zanda e Bettini, quest'ultimo artefice del successo di Zingaretti e premiato con un ritorno nella scena politica di primo piano. Dall'altra Renzi ha accantonato l'idea del suo partito: se nel Pd è netta minoranza, figuriamoci nel Paese. E l'ipotesi di un'alleanza Pd-5Stelle non è nei programmi del neo-segretario, e quindi Pittibimbo non avrebbe un detonatore per spaccare il partito.
Zingaretti avrebbe detto a Prodi, suo grande sponsor e confidente, di parlare con Bersani e D'Alema, e di raffreddare la loro smania di rientrare nel Pd: ora non è il momento, manderebbe un segnale di funereo ritorno all'ancien régime. E chissà, forse quel momento non arriverà mai: con LeU si potrà fare un'alleanza, ma il riassorbimento dei fuoriusciti non conviene al Nazareno.
roberto giachetti e goffredo bettini (2)
Il segno della distensione tra Renzi e Zingaretti si legge anche nelle buone parole pronunciate dal primo sul secondo nell'intervista al ''Corriere'' di oggi, e nel fatto che il secondo ha confermato i due capigruppo in Parlamento, Delrio alla Camera e il renzianissimo Marcucci al Senato.
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