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“VUOI FARE SUL SERIO SUL DOSSIER UCRAINA? RITIRA IL TUO MINISTRO DEGLI ESTERI. CHIACCHIERONE” – DOPO L’ELEZIONE DI STEFANIA CRAXI ALLA COMMISSIONE ESTERI GIORGIA MELONI SCAZZA CON CONTE CHE REPLICA AL VELENO: “SEI LA PALADINA DELL’OPPOSIZIONE O QUELLA CHE VOTA CON RENZI IN COMMISSIONE ESTERI?” – LA FURIA DI GIUSEPPI CONTRO DRAGHI ("NON LO VEDRÒ, L'ULTIMA VOLTA È ANDATA MALE") E LE CRITICHE DEL GRILLINO SPADAFORA: “LA LEADERSHIP DI CONTE NON STA FUNZIONANDO”

Federico Capurso per “la Stampa”

 

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Entrando nella sede romana del Movimento 5 stelle, a pomeriggio inoltrato, si sentono delle urla provenire dall'ultima stanza in fondo al corridoio, quella di Giuseppe Conte.

Non si è ancora placata l'ira del leader, esplosa al mattino per essersi visto soffiare la presidenza della commissione Esteri in Senato che fu dell'ex grillino Vito Petrocelli. «Spettava a noi di diritto», sottolinea al termine della riunione della segreteria pentastellata convocata d'urgenza.

 

E invece il blitz del centrodestra, con l'appoggio di Italia viva e di parte del gruppo Misto, ha portato all'incoronazione di Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, con 12 voti contro i 9 del candidato M5S, Ettore Licheri. Conte, parlando con La Stampa, la definisce «un'operazione di basso conio», un «tradimento dei patti», una «azione minatoria per il governo». Ma non la chiama mai per quello che è davvero: una sconfitta.

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Lo schiaffo ricevuto in commissione Esteri «certifica che questa maggioranza esiste solo sulla carta. Registriamo che se ne è formata una nuova, da Fratelli d'Italia a Italia viva», sostiene l'ex premier, e la maggioranza rischia così «di perdere il senso di minima coesione e di leale collaborazione che sono premesse fondamentali per sostenere l'azione di governo». Ma lo spettro di una crisi imminente viene allontanato:

 

«Noi continueremo ad appoggiare lealmente l'esecutivo», chiarisce. Semmai, per Conte, «questa è la riprova che ci sono delle forze che stanno tramando per spingerci fuori dal governo, ma sbaglia chi pensa che da parte nostra ci sarà una reazione di frustrazione». Serve però ritrovare un dialogo, «di cui deve farsi carico il presidente del Consiglio».

 

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Tira quindi in ballo Mario Draghi, con cui però i rapporti sono ormai gelidi. Tanto che un faccia a faccia per discutere del problema viene rimandato a un futuro non meglio precisato. D'altronde, confessa Conte, «l'ultima volta che l'ho incontrato non è stata un'occasione felice. Io ponevo un problema sul riarmo, insostenibile per il Paese, e mi sono ritrovato con un presidente del Consiglio che andava al Quirinale e denunciava platealmente che il Movimento voleva una crisi di governo».

 

Segno di un rapporto logoro. Anche se, sull'incidente in commissione Esteri, «non sto coinvolgendo Draghi in alcun modo». Si aspettava forse un altro comportamento. Che richiamasse Matteo Salvini, con cui si era incontrato recentemente, e gli chiedesse magari conto del perché ha ritenuto di creare, con una forza di opposizione come Fdi, «una conventio ad escludendum del Movimento 5 stelle».

 

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A questo punto è inutile, per Conte, anche un vertice di maggioranza con gli altri leader: «Io caminetti non ne voglio fare», dice. Semmai, «voglio confrontarmi in Parlamento», con un voto, quando Draghi riferirà alle Camere prima del Consiglio europeo straordinario di fine mese. E va chiarito, in tempi più brevi, «se si pensa di acquisire Fratelli d'Italia all'interno della maggioranza o se Italia viva, visto il consenso molto basso da cui non riesce a schiodarsi, ha deciso di essere organica al centrodestra». L'attacco innesca uno scambio di tweet al vetriolo tra l'ex premier e Giorgia Meloni, che smentisce ogni desiderio di lasciare l'opposizione: «È successa una cosa scontata, abbiamo appoggiato una candidata di centrodestra». Per la Lega, infatti, è la conferma che «uniti si vince». Unito è stato anche il fronte progressista - «Non posso rimproverare nulla a Pd e Leu», dice Conte - che in occasione del voto aveva contrassegnato le schede per riconoscere i voti e «tornavano tutti», confermano Dem e Cinque stelle. Eppure non è bastato.

Il nome di Licheri è stato tenuto in piedi fino all'ultimo, nonostante venisse considerato perdente già da giorni, nei chiacchiericci che si fanno nei corridoi di palazzo Madama.

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Solo martedì sera, quando la situazione appariva irrecuperabile, il ministro per i rapporti con il Parlamento ha avvisato palazzo Chigi del problema e delle ripercussioni che potevano esserci per la maggioranza, ma l'esito non è cambiato.

 

Il Movimento perde la presidenza. Qualcuno aveva fatto il nome di Simona Nocerino, in alternativa a Licheri. Ma era troppo indipendente, non targata come una "soldatessa" del leader, e questo - per molti - ha avuto un peso decisivo. «Con Nocerino non si sarebbe risolto il problema - replica Conte -. Il suo nome è stato fatto in modo strumentale.

Hanno cercato di dividerci con un'operazione di disturbo e la stessa Nocerino, quando se ne è resa conto, si è tirata indietro». Lei, a chiunque la incontri in Senato, non nasconde il rammarico: «C'è chi dice che avrei potuto vincere». Ma come sostiene da New York Luigi Di Maio, a cui Nocerino viene considerata vicina, «ad alcuni partiti è mancato il fair play».

 

Il deputato M5S Vincenzo Spadafora offre una versione più cruda: «La leadership di Conte non sta funzionando. Dispiace ma si stanno collezionando sconfitte in serie». Qualcuno, almeno, che la chiama per quello che è.

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