
DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI SERGIO MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN…
Fabio Martini per "la Stampa"
Sono le 8,45 e c' è profumo di caffè nella saletta di Palazzo Chigi dove Enrico Letta ospita i capigruppo della "sua maggioranza" per la riunione destinata a rendere stabile una sorta di Ufficio politico dell'esecutivo, il luogo dove si comporranno urti e istanze contrapposte. Il presidente del Consiglio ha appena spiegato a grandi linee la filosofia dell'iniziativa, preannunciando summit periodici ed invitando i capigruppo a fare da «sentinelle» e, nei limiti del possibile a «sminare problemi che si dovessero creare».
Subito dopo prende la parola il vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano, scandendo concetti chiari: qui siamo tutti professionisti della politica, sappiamo che per ostacolare o far cadere un governo basta mettere in campo capziosità , distinguo e quindi è giusto parlarci chiaro e capirci, prima che emergano sorprese e difficoltà . Un incipit tosto, col dono della chiarezza e che colloca subito Alfano, come è naturale che sia, tra i portabandiera del nuovo esecutivo.
Ma non è finita qui. Letta e Alfano sono seduti uno a fianco dell'altro e mentre parlano, si citano e si scambiano la parola, chiamandosi per nome: «Come ha detto Enrico», «come ha spiegato Angelino». Presidente e vicepresidente fanno coppia, c'è feeling tra loro e non fanno nulla per nasconderlo. Quarantasei anni Letta, quarantatre Alfano, i due si giocheranno fino in fondo la partita della vita.
Il messaggio subliminale non sfugge a buona parte dei capigruppo, tra i quali c'è gente che mastica di politica. Tra i sette capigruppo ce ne sono ben quattro che hanno fatto la gavetta nella Dc: Pino Pisicchio, del Centro democratico; Lorenzo Dellai e Susta di Scelta Civica, ma anche Renato Schifani, presidente dei senatori Pdl. Per non parlare di Dario Franceschini, ex ragazzo di Zac, anche lui presente alla riunione. E si sono fatti le ossa nella Dc soprattutto loro due, i leader Letta e Alfano
Esemplari e non apologetiche le parole di Calogero Mannino, ex ministro Dc: «Osservando Letta, Alfano e Franceschini sembrerebbe di aver difronte la fotografia del movimento giovanile Dc del 1991, ma la comune militanza appartiene al loro passato, nessuno si autodefinisce democristiano e gran parte delle loro scelte successive rappresentano la negazione di quella esperienza comune. Eppure, chi è stato nella Dc ha interiorizzato metodologie e logiche, quel carattere che Gobetti identificava nel cattolico impegnato in politica: il concretismo».
Un concretismo riveduto, corretto e modernizzato che porterà domani Letta ed Alfano a guidare le danze nell'abbazia sconsacrata di Spineto, dove i ministri si ritroveranno per conoscersi meglio, «fare spogliatoio», come ha spiegato nel suo tweet di apertura il presidente del Consiglio. Ed è in quella occasione che, per dirla con le parole di uno dei ministri di punta del nuovo esecutivo, «prenderà forma il partito del governo».
Non un partito vero e proprio, perché per quello - se mai verrà - serve tanto tempo. Ciò che serve subito sono risultati tangibili ed immediati da parte di questo governo. Una mission complicata Letta e Alfano - tra palazzo Chigi e Spineto - stanno cercando di imbastire un patto, un "partito" trasversale, con basi nei due ex partiti guida, Pd e Pdl.
E per cementare quel che ancora è molto friabile, ieri è stato messo il primo mattone, quel che Pino Pisicchio definisce «un metodo nuovo, quello delle convergenze preventive». E spiega: «Un metodo indispensabile rispetto ai punti di frizione: questa è una maggioranza molto articolata, formata da forze che fino a questo momento sono state una contro l'altra e da un Parlamento con il 64% di turnover. I problemi non mancano, ma ora c'è un luogo che consentirà un percorso normativo più fisiologico e condiviso».
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