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Francesco Bei e Alberto D'Argenio per "La Repubblica"
Una mossa clamorosa per rientrare in gioco, una temeraria incursione nel campo avversario per mandare all'aria un piano che lo vede sempre più ai margini. Silvio Berlusconi, nonostante l'attenzione sia concentrata tutta sui processi, ha iniziato a studiare l'operazione per rientrare nel vero "Great Game" che si aprirà tra un mese, quello intorno al prossimo inquilino del Quirinale.
Con un obiettivo principale: evitare a tutti i costi l'ingresso nel palazzo dei Papi dell'odiato Romano Prodi. à proprio al fondatore dell'Ulivo che Angelino Alfano si riferiva ieri quando, arringando a Milano i parlamentari del Pdl, ha ammonito il Pd a non eleggere un presidente della Repubblica «che sia visto con ostilità dal 50 per cento del popolo italiano».
L'ultimo schiaffo ricevuto da Prodi, nell'ottica del Cavaliere, è stata la testimonianza resa davanti alla procura di Napoli sulla compravendita di senatori nel 2006, quello stesso filone d'indagine da cui è scaturita la richiesta di giudizio immediato per Berlusconi.
Se dunque lo scopo, nelle parole del Cavaliere, è «evitare di trovarsi al Colle per sette anni uno che ci farebbe rimpiangere Scalfaro», il leader del Pdl è pronto a giocare d'anticipo.
Con un azzardo: lanciare ai piedi del Pd una rosa di candidati "graditi", un'offerta difficile da rifiutare vista la caratura dei personaggi: Massimo D'Alema, Giuliano Amato e Franco Marini. In questo ordine. Perché a Berlusconi, nell'ora più difficile, non è sfuggito il riconoscimento politico giusto da D'Alema nell'intervento ufficiale alla direzione del partito. Una difesa delle ragioni della politica e del «compromesso con la destra» contro la retorica dell'inciucio che, raccontano nel Pdl, ha colpito positivamente Berlusconi. E forse è un caso ma ieri in prima pagina sul Giornale, in un ritratto graffiante sul «lìder Maximo », si riconosceva comunque a D'Alema il merito di essere stato «l'unico a sinistra a non ostracizzare Berlusconi».
A tre giorni dall'apertura del "conclave" parlamentare, anche i giochi sui papabili per le presidenze di Camera e Senato si vanno facendo più concreti. Nel Pd, nonostante la nomina degli sherpa incaricati di sondare i cinquestelle, è ormai sfumata l'ipotesi di regalare una delle due cariche ai seguaci di Grillo e Casaleggio. «Sarebbe inutile - ragiona uno dei dirigenti del Nazareno - perché non li smuoverebbe sul governo e ci esporrebbe all'accusa di volerli comprare».
Per questo in pole position è tornato il nome di Dario Franceschini, che ieri ha arringato i neodeputati con una chiamata all'orgoglio democratico. Per palazzo Madama invece il nome più forte al momento è quello di Mario Mauro, ex capogruppo europeo del Pdl passato a Scelta Civica, visto che su Mario Monti - riferiscono nel Pd - «i mal di pancia dei nostri sono troppo forti».
Lo stesso Monti non avrebbe poi troppo voglia di smontare la guardia a palazzo Chigi in un momento così delicato. «Non lascio il governo - ha spiegato ai suoi - perché questo disimpegno potrebbe aumentare la percezione esterna di instabilità e l'incertezza dei mercati». Monti accetterebbe di correre solo se ci fosse un accordo con Pd e Pdl comprensivo di un governo di larga coalizione. A quel punto potrebbe anche puntare, dopo il passaggio sullo scranno più alto del Senato, al Quirinale. Ma al momento l'ipotesi
di un governissimo Pd-Monti- Pdl appare fuori dalla realtà .
Sembrano fatti intanto i giochi per i capigruppo del Pdl. A Montecitorio arriva Renato Brunetta, al Senato Renato Schifani.
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