DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
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Cerchiamo di ricostruire gli ultimi tre giorni di follia politica. Lunedì Di Maio e Salvini hanno portato la loro bozza di programma, anzi di contratto, a Mattarella, chiedendo altro tempo perché non avevano ancora trovato un nome. In realtà lo aveva trovato Salvini, l’economista e suo ex professore Giulio Sapelli, ma è andato storto a Di Maio.
Il Presidente era irritato per due motivi, e glieli ha esposti molto chiaramente:
- Non si può fare, firmare e sottoporre un programma senza che il Presidente del Consiglio scelto dalla Lega e dal M5s abbia almeno partecipato alla stesura;
- Se vogliono un governo politico, anche il premier deve essere politico.
La cosa più bizzarra di questa situazione, ha fatto notare il Quirinale, è il ritorno ai vecchi riti della Prima Repubblica, quando i segretari dei partiti sceglievano il capo del governo, sostenendolo o facendolo cadere a seconda degli umori delle correnti, dandogli indicazioni da fuori e di fatto teleguidando i suoi movimenti.
Negli ultimi 25 anni, volenti o nolenti, ci siamo abituati a figure con maggiore autonomia. Nel migliore dei casi, il premier era il candidato della coalizione vittoriosa che per mesi aveva parlato agli elettori e aveva fatto campagna elettorale sul territorio. Nei casi “così così” (Gentiloni, Renzi, Letta, Amato, Dini, Ciampi), anche se non erano i candidati al ruolo, almeno si trattava di politici di primo piano che appartenevano al partiti della maggioranza, o che avevano fatto i ministri, i governatori di Bankitalia ecc.
Nel peggiore dei casi – solo uno, ovvero Mario Monti – il premier è stato paracadutato da Napolitano dall’alto per ‘’commissariare’’ il Paese in balìa dello spread, senza avere un partito e senza una vera storia politica (neanche il ruolo pesantissimo di commissario europeo alla Concorrenza bastò per navigare le acque pericolose della politica italiana).
Ecco, ha sibilato Mattarella ai dioscuri, voi siete i capi politici e volete manovrare da fuori il premier, con un Comitato di Conciliazione che nulla è se non la riesumazione dei caminetti e delle cabine di regia, buoni solo a creare il caos a Palazzo Chigi? State spacciando per novità il più antico dei riti partitocratici italiani…
BERLUSCONI SALVINI MELONI CON MATTARELLA
In questa fase, chi fa da “gatekeeper” e tiene i contatti con i due leader è Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, subito accusato da Salvini di avere un atteggiamento più favorevole nei confronti di Di Maio. Ti credo: il grillino tendenza Casaleggio se non fa il governo è politicamente finito. È più malleabile, come si è visto con le concessioni su temi fondamentali del programma a 5 Stelle come l’Europa o la Tav. Persino il reddito di cittadinanza è stato molto annacquato, rinviandolo al 2019, nel contratto che hanno consegnato a Mattarella. E dunque è disposto a piegarsi, a differenza di Salvini che più si mostra battagliero e più gonfia i consensi.
I due semi-vincitori del 4 marzo, in ogni caso, hanno avuto un ultimatum dal Quirinale: entro domenica devono partorire un governo ‘’presentabile’’, cioè con una lista di ministri che ha il consenso del Colle, oppure è già pronto il fatidico governo neutrale del presidente.
Nonostante il rapporto ormai strettissimo che lo lega a Di Maio, Salvini lunedì ha comunque fatto un ultimo tentativo con Mattarella: un preincarico per un governo di centrodestra, con l’obiettivo di raccattare i voti che mancano in Parlamento. Ma Sergione è stato irremovibile: senza una maggioranza precostituita prima del voto di fiducia, niente incarico.
Su questo, non c’è margine di movimento: l’esecutivo di tregua deve occuparsi della Finanziaria in modo non partigiano e soprattutto senza escamotage elettorali e poi portare subito il Paese al voto. La Legge Finanziaria non è neutra, ma è un vero e proprio bazooka politico: togliere fondi a un settore (esempio: l’accoglienza ai migranti) e darli a un altro (esempio: gli imprenditori del Nord) è la principale attività di un governo nel pieno dei suoi poteri.
Per questo, ma non solo per questo, l’altro giorno all’uscita del Quirinale Salvini era scurissimo in volto. L’altra tegola che lo aveva colpito sul capoccione era la telefonata di Berlusconi. Occhio, gli ha intimato Silvio, se l’accordo non si trova, devi essere tu a rompere con Di Maio così puoi presentarti agli elettori come quello che ha fatto tutto il possibile per arrivare a un governo. Se invece è Luigino a sganciarsi, farai la figura dello sconfitto.
L’altro pizzino del Banana riguardava invece i gazebo: se vanno solo i leghisti a votare il programma di governo, nessun problema. Ma si presenteranno anche gli altri elettori di centrodestra – per non parlare di quelli di centrosinistra – e il risultato non è affatto scontato. Le consultazioni popolari sono una lama a doppio taglio, e un esito negativo lo spoglierebbe di ogni legittimità politica e lo costringerebbe a mollare la leadership del centrodestra.
Non a caso oggi il vice-segretario della Lega e vicepresidente della Camera Lorenzo Fontana (chi? Esatto.) ha dato oggi un’intervista a Repubblica in cui la fa semplice: “Se il programma non è chiaro, meglio tornare alle urne con il centrodestra unito e Salvini candidato premier. Alleandoci con i 5 Stelle dovremmo affrontare nell’immediato tutta una serie di difficoltà e senza un piano chiaro potrebbe non valerne la pena…” Un bel freno ai piano del signor Isoardi.
Per Mattarella, la carta coperta (per modo di dire) resta sempre Giorgetti. Di Maio ovviamente nicchia: può un partito che ha preso metà dei voti del mio prendersi Palazzo Chigi? (Craxi insegna: eccome!). Il M5s ha un problema: è totalmente sfornito di classe dirigente che rispetti i due requisiti imposti dal Quirinale per la premiership: qualcuno che abbia esperienza all’estero e sappia far di conto. Luigino non può presentarsi al Colle con un nome come Fraccaro, sarebbe triturato in tre giorni. Sembra un paradosso ma in questo frangente la Lega ha più nomi ‘quirinabili’. In un paese di ciechi, l’orbo è il re.
salvini al quirinale con giorgetti
Il più furbo e scafato della delegazione grillina è ovviamente Spadafora, ombra di Giggino, che segue la tattica Obama: facciamo uscire dei nomi di potenziali premier e vediamo che succede. Così hanno fatto con Massolo, ma subito si è capito che una figura come la sua non si potrebbe presentare a Bruxelles e a Washington sventagliando un contratto di governo che alla voce ‘Esteri’ classifica la Russia di Putin “potenziale partner della Nato, non una minaccia militare”.
La bozza ha una chiara connotazione anti-europea e anti-americana, e Mattarella ha due linee rosse che non intende oltrepassare: il rispetto degli accordi internazionali e il muoversi all’interno deli parametri di Bruxelles. Per questo a Dogliani la Mummia sicula ha citato Einaudi, ovvero il Presidente della Repubblica che rimandava indietro al Parlamento le leggi senza copertura. E oggi la copertura finanziaria dell’Italia si decide a Bruxelles e a Francoforte. Insomma, anche se i due si mettono d’accordo su un nome, questo deve sempre passare il vaglio del Quirinale.
Che fa Beppe Grillo in tutto questo? Freme, e non ha caso ha pubblicato ieri sera sul suo blog l’intervista data a Newsweek (testata che a malapena esiste ancora) varie settimane fa, ma pubblicata solo l’altroieri. I pasdaran di Luigino hanno subito precisato che le frasi di Beppone risalgono a prima dell’accordo con Salvini, e che la linea no-Euro si è nel frattempo ammorbidita. Eppure non è un caso se l’intervista è stata pubblicata proprio adesso, senza alcuna precisazione da parte del ‘padre nobile’.
Il comico genovese ce l’ha soprattutto con Casaleggio jr, e lo ha accusato di dissipare il patrimonio politico che lui e il padre gli hanno lasciato in eredità. Grillo da sempre è convinto che il Movimento non deve allearsi, che la sua collocazione perfetta è un’opposizione dura e pura, che non bisogna governare ma al massimo può costringere il governo in carica a votare le proposte a 5 stelle.
Per chiudere il racconto di questi giorni matti, parliamo del futuro: il prossimo appuntamento tra Di Maio e Salvini è domani, e alla fine di questo incontro si saprà se l’accordo regge o se sarà rottura. In caso di rottura, questa sarà annunciata venerdì e verrà spiegata (da Salvini) come una rottura sul programma, non sui nomi…
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