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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Marco Lillo per "il Fatto quotidiano"
Povero Alfredo Pezzotti. Il fido maggiordomo del presidente del consiglio dovrà allestire una sala di attesa più capiente per le tante signore che vogliono incontrare il Cavaliere. Non stiamo parlando delle giovani che affollano le feste del premier ma delle mogli degli amici di Berlusconi finiti agli arresti. Dopo avere intrattenuto per mesi rapporti epistolari e incontri con la moglie di Gianpi Tarantini, il premier presto potrebbe ritrovarsi di fronte un'altra consorte bisognosa di conforto: quella di Alfonso Papa.
Il quotidiano Libero ieri in edicola svela il contenuto di una missiva spedita nei giorni scorsi dal carcere di Poggioreale a Palazzo Grazioli. Il quotidiano titola su un presunto ricatto dei pm all'imputato ("Lettera dal carcere di Papa a Berlusconi: Mi ricattano per colpire te") ma in realtà a leggere tra le righe si intravede un ricatto, o almeno una forte pressione non tanto dei pm a Papa ma di Papa verso Silvio Berlusconi. Il deputato è detenuto dal 20 luglio grazie al sì della stessa Camera che ha salvato Marco Milanese. Secondo Libero il suo umore è nero.
Papa, un quarantenne gaudente abituato alle case del centro di Roma offerte graziosamente dagli imprenditori che lo temevano e ora lo accusano, malsopporta la cella calda dove è recluso con cinque detenuti. Il processo nel quale il deputato del Pdl potrà far valere le sue ragioni inizia il 26 ottobre prossimo ma Papa è depresso, ha perso 10 chili di peso e sostiene di avere meditato persino di farla finita. Soprattutto non riesce ad accettare la situazione difficile in cui è precipitata la sua famiglia e soffre per i suoi due figli.
Per questo chiede al premier di ricevere la moglie "e darle una mano anche ascoltando il suo racconto". Per sollecitare l'attenzione del presidente, distratto dalla crisi e dai suoi processi, Papa aggiunge un messaggio inquietante. "Senza giri di parole - secondo Libero - fa il nome di quattro magistrati della Procura di Napoli", in testa l'incubo del Cavaliere: Henry John Woodcock.
Secondo la lettera, i pm mentre era in carcere, gli avrebbero fatto balenare una svolta nella sua posizione "se avesse risposto a domande che avrebbero comportato la corresponsabilità penale del presidente del consiglio e di suoi stretti collaboratori", il riferito - sempre secondo Libero - sarebbe al fido Gianni Letta. Papa sostiene di avere rifiutato energicamente lo scambio di quella possibile collaborazione alle indagini" ma allo stesso tempo fa presente che le sue condizioni fisiche e psicologiche non gli permettono di andare avanti a lungo.
Il messaggio della lettera somiglia a un ultimatum ed è duplice. Da un lato Papa fornisce ai suoi colleghi del Pdl un argomento per la loro forsennata campagna contro i magistrati napoletani, il vero obiettivo delle ispezioni ministeriali nelle procure di Bari, Napoli e Milano chieste ieri al ministro Nitto Palma dai capigruppo del Pdl.
Dall'altro lato però il deputato recluso fa capire di non essere più intenzionato a sopportare a lungo il ruolo del capro espiatorio. Per capire il senso della lettera, il Fatto Quotidiano ha provato a contattare la moglie di Papa nel suo studio legale di Napoli. Senza successo.
Gli avvocati difensori della prima fase del processo, Giuseppe D'A-lise e Carlo Di Casola, dicono in coro: "Non sapevamo nulla di questa iniziativa di Papa". I due legali hanno rimesso il mandato nei giorni scorsi per protesta contro la decisione del Gip Luigi Giordano che ha respinto la loro richiesta di scarcerazione, basata sulla situazione medica del deputato, senza acquisire la sua cartella clinica.
Nei prossimi giorni Papa dovrà nominare un nuovo avvocato e sarà interessante vedere se al cambio del collegio difensivo corrisponderà anche una nuova strategia mediatica e legale.
Da Palazzo ChigI intanto non sono giunte smentite e le persone più vicine al presidente del consiglio danno un certo credito alla ricostruzione di Libero. L'ex ministro dei beni culturali Sandro Bondi attende conferme ma intanto si porta avanti con il lavoro scagliandosi contro i magistrati: "Se fosse vero quello che scrive Libero saremmo di fronte non solo a un uso illecito e abnorme della carcerazione per strappare e ottenere confessioni, secondo l'infausto metodo dell'inquisizione, ma anche al tentativo, di estorcere attraverso una vera e propria violenza psicologica, accuse nei confronti del Presidente del Consiglio". Il messaggio, insomma, è arrivato a destinazione.
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