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Nunzia Penelope per "Il Foglio"
Ritorna il partito della patrimoniale in Italia. Composito e trasversale, vive sottotraccia e affiora carsicamente di tanto in tanto, con nuovi e sempre più numerosi adepti. La patrimoniale: parola sconveniente, da non pronunciare nei salotti, tanto meno televisivi, pena la fuga dei capitali e la sollevazione popolare. I sostenitori, però, crescono lo stesso. L'ultimo in ordine di tempo è stato Fabrizio Barca che, in una telefonata "piratata'' da La Zanzara, a Radio 24, ha ammesso la necessità di intervenire sulle grandi ricchezze per l'importo monstre di 400 miliardi di euro.
Per chi ha memoria, suona come il ritorno a un passato sinistro: identica ricetta era stata suggerita dal banchiere Alessandro Profumo, nel settembre del 2011, quando l'Italia era sull'orlo del baratro finanziario. Possibile che oggi, dopo quattro anni e tre governi, ci ritroviamo nelle stesse condizioni? Forse sì, a giudicare dall'infittirsi delle prese di posizione a favore della patrimoniale, che allignano ormai a destra e a sinistra, tra i "poveri'' e, soprattutto, bizzarramente, tra i "ricchi''. Il patron del Gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, ha più volte sostenuto la necessità di intervenire con "una forte tassazione sui patrimoni", da cui estrarre forzosamente le risorse da utilizzare per diminuire le tasse sul lavoro.
Una tesi fatta propria dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che l'ha addirittura messa al centro dell'editoriale di domenica 9 febbraio. Più severo del suo editore, vuole applicarla "non solo ai ricchi ma anche agli agiati", cioè "a chi ha redditi" sopra i 70 mila euro l'anno, redditi che sarebbero "il segnale" di ricchezza patrimoniale sufficiente per essere tosata. A cinque anni dall'inizio della crisi, buona parte delle élite italiane sembra fare fatica a vedere alternative rispetto alla statalizzazione di beni privati. A favore della "tassa sui ricchi'' è posizionata da sempre la Cgil: Susanna Camusso ne ha fatto un cavallo di battaglia, rilanciato anche negli ultimi giorni con lo slogan "Una patrimoniale per il lavoro''.
Ma anche la Confindustria non disdegna: l'associazione degli industriali era stata tra i primi, in epoca Emma Marcegaglia, a proporre una manovra sulle ricchezza dal gettito di 6 miliardi annui da ottenere - si legge nel Manifesto delle imprese per l'Italia firmato con Abi, Ania, Rete Imprese e Alleanza Coop nel 2011 - "applicando sul patrimonio netto delle persone fisiche una imposta patrimoniale annuale, ad aliquote contenute e con le necessarie esenzioni, per dare concretezza all'obbligo dichiarativo e ottenere un gettito annuale stabile da circa 6 miliardi annui''.
Non solo. Nel settembre 2013 si è sbilanciato addirittura un esponente del governo Letta, il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta: "Di patrimoniale oggi non si parla solo per ragioni politiche. Ma io sono per una discussione esplicita: chiediamo agli italiani un contributo alla crescita, proporzionale al reddito. In questo modo avremmo fondi da investire per lo sviluppo". E ancora. A novembre i patrimonialisti arruolarono pure il Fondo monetario internazionale, che in un box un po' nascosto di un suo studio propose, per tagliare i debiti pubblici e riportarli ai livelli pre crisi, un prelievo di circa il 10 per cento sulla ricchezza netta.
Tranquilli, però, per il nostro paese basterebbe molto meno: il 10 per cento della ricchezza netta, in Italia, equivale a circa 800 miliardi di euro, ma per tornare ai livelli di debito pubblico del 2007, e cioè per scendere dal 130 per cento attuale del pil a circa il 100 per cento, ne basterebbero 500.
Tradotto in percentuali, si tratterebbe di una tassa di poco più del 6 per cento. Sono stati poi proprio i rappresentanti del patrimonio per definizione, i banchieri, i primi a vedere con favore interventi del genere: oltre a Profumo e a Corrado Passera, anche Pietro Modiano, ex Intesa- San Paolo, nei mesi scorsi si è esercitato su un possibile intervento sulle ricchezze da circa 80 miliardi, suddivisi in quattro tranches da 20 miliardi l'anno. Fantascienza? Forse.
Ma sta di fatto che perfino Davide Serra, il finanziere patron dell'hedge fund Algebris, uno dei più ascoltati consiglieri di Renzi, sembra andare in questa direzione, proponendo di tassare le rendite per ridurre il cuneo fiscale: "Se l'obiettivo è la crescita economica, è inaccettabile che un paese tassi al 20 per cento le rendite finanziarie mentre il lavoro è tassato al 45 per cento e le imprese al 60". E conta poco che le "rendite finanziarie" siano spesso, meno prosaicamente, il gruzzolo di piccoli e medi risparmiatori. La tesi-Serra è stata sostenuta apertamente dallo stesso Renzi in più occasioni. E se al partito della patrimoniale s'iscrive perfino il futuro premier, qualcosa alla fine vorrà dire.
NICHI VENDOLA E FABRIZIO BARCACARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERALaura Boldrini e Eugenio Scalfari Profumo Alessandro Sandro Gozi Corrado Passera DAVIDE SERRA ALLA LEOPOLDA
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