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Fabrizio Ravoni per "Il Giornale"
Lo dice la Bibbia: il nemi¬co del mio nemico è mio amico. à la tattica che stanno usan¬do nel pro¬prio confron¬to/ scontro En¬rico Letta e Matteo Renzi. Che sono pur sempre un pisan¬o ed un fio¬rentino. E co¬me nel Tre¬cento, adusi ad ingrossare le rispettive truppe con soldati di ven¬tura. Oggi, banchieri, ma¬nager, im¬prenditori. Renzi leader dei Guelfi, Let¬ta dei Ghibelli¬ni.
Cartina al tornasole, i giornaloni. Così se l'esta¬blishment ed il Corriere della Sera inseguono la stabilità di governo (e, quin¬di, parteggiano per Letta), La Repubblica non può che soste¬nere - come osserva Dagospia - ¬il sindaco di Firenze. Come Guelfi e Ghibellini.
Domani sono 753 anni che si combattè la Battaglia di Mon¬taperti. Firenze perse, come racconta un cronista dell'epo¬ca, Dante: «Lo strazio e 'l gran¬de scempio, che fece l'Arbia co¬lorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio». Pisa era alleata di Siena. Ed il principa¬le sponsor della coalizione era Manfredi di Svevia, figlio di Fe¬derico II. Giovanni Bazoli co¬me Manfredi?
Grazie ai mercenari tede¬schi (la storia di ripete? La pri¬ma visita di Letta da premier fu in Germania) vinse la Batta¬glia ed i Ghibellini invasero la Toscana. Il fiorentino Dante fu condannato all'esilio. Nulla poterono gli sponsor Guelfi contro il tradimento di Bocca degli Abati. Forse gli amici di Renzi (da Repubblica a Diego Della Valle) dovrebbero ricor¬dare l'episodio.
Passano cent'anni e la storia di ripete. Ma al contrario. Nel¬la Battaglia di Cà scina, Firen¬ze (Renzi) mette in campo Ga¬leotto Malatesta (Carlo De Be¬nedetti?). Arriva a Cà scina, a pochi chilometri da Pisa (Let¬ta). Ma si ferma. à stanco. Sa che di fronte ha Giovanni (Bazoli) l'Acuto, un inglese - John Hawkwood - che pochi mesi prima ha fatto incursioni fino alle porte di Firenze.
L'Acuto prima di attaccare aspetta che il sole e la polvere accechino i fiorentini. Ma cal-cola male i tempi. Così, Man¬no Donati ( Della Valle?) e Boni¬facio Lupi (Unicredit?) sferra-no la controffensiva e sfonda¬no le linee pisane. Malatesta, però,non s'aspettava una vitto¬ria del genere. Così come Schwarzkopf che non arrivò a Bagdad, Malatesta non arriva a Pisa.
Ma da quel momento, Pisa (Letta?) non si riprese e Fi¬renze (Renzi?) trionfò; finché nel Quattrocento non la con¬quistò definitivamente. E poi costruì il porto a Livorno, per l'insabbiamento di quello di Pisa. Rievocazioni storiche a par¬te, il confronto tra Renzi e Let¬ta può modificare gli assetti del Capitalismo italico; in vi¬sta di una rivisitazione degli assetti politici del Paese.
D'altra parte gli sponsor di Renzi, a partire da Della Valle (sempre in tribuna ad ammirare la «sua» Fiorentina, anche se marchigiano d'origine), sono gli imprendi¬tori che - sep¬pure di suc¬cesso - prova¬no a s¬tare fuo¬ri dal coro dell'establish¬ment. O di for¬marne uno nuovo sulle ali del sinda¬co di Firenze. Da qui, la sin¬golare «comu¬nione d'inten¬ti » di De Bene-detti e di Mi¬ster Tod's.
Al contra¬rio, quello che una volta veniva defini¬to «il salotto buono» so¬stiene convinto Enrico Let¬ta. Con un pa¬radosso. Uno tra i più giova¬ni premier della Repub¬blica raccoglie consensi so¬prattutto presso una genera¬zione di persone che - da un punto di vista anagrafico - è più anziana del padre (nem¬meno CdB è più un giovanot¬to, d'altra parte).
Ma chissà se il Capitalismo italico non sfrutti il confronto/ scontro fra Renzi e Letta applicando la formula di Tancredi del Gattopardo : «Se vogliamo che tutto rimanga com'è, biso¬gna che tutto cambi». Intanto, Guelfi e Ghibellini assoldano soldati di ventura.
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