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Fabio Martini per "La Stampa"
La sinistra italiana, si sa, è sempre stata molto affettuosa con gli intellettuali organici, quelli che sottoscrivevano a piè di lista gli appelli del Partito e invece sempre ostile verso i dissidenti, magari simpatizzanti ma colpevoli di non essere perfettamente allineati.
Sembrava una stagione in dissolvenza e invece no: la pubblicazione sul «Corriere della Sera» di una intervista di Aldo Cazzullo a Francesco De Gregori - nella quale il cantautore passa in rassegna critica (ma senza saccenteria) alcuni tic della sinistra italiana e accarezza l'idea di non andare a votare - è stata presa di mira da un manipolo di dieci parlamentari democratici di fede «renziana».
Quasi si sentissero già alla guida del Partito, i dieci si ergono a difensori della «fede» e lo fanno in una lettera aperta che oltre ad alcune punture di spillo culmina con una frase eloquente: «Non possiamo credere che il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci: "Il verbo credere non dovrebbe appartenere alla politica"».
Effettivamente De Gregori proprio così ha osato esprimersi. Detto da un artista, è chiaro il senso: siamo stanchi di deleghe in bianco, di leader più o meno carismatici. Ma la colpa di De Gregori evidentemente è un' altra. L'intervistatore gli aveva appena chiesto: «Non crede in Renzi?». E De Gregori aveva per l'appunto risposto, dubitando sulle virtù taumaturgiche del «credere».
Verbo invece rivalutato dai «renziani», certo dimentichi che non molti anni fa c'era qualcun altro che arringava le piazze, inneggiando al «credere, obbedire e combattere». Ma l'aspetto più originale della scomunica è che poche altre volte un artista simpatizzante aveva criticato con tanta efficacia il sinistrese postcomunista, abbracciando una visione delle cose e della politica così «renziane».
Ha detto De Gregori: «Continuo a pensarmi di sinistra», che però oggi «è un arco cangiante, che va dall'idolatria per le piste ciclabili ad un sindacalismo vecchio stampo», «si commuove per lo slow food e en passant, strizza l'occhio ai No Tav». E ancora: «Ringrazio Dio che non si sia fatto un governo con Grillo», «sono stufo del fatto che, appena si cerca un accordo su una riforma, subito da sinistra si gridi al tradimento», «la solita solfa "dì qualcosa di sinistra" non può diventare l'unica battuta delle anime belle», «mi irrita sentire parlare di regime berlusconiano», «una mancanza di rispetto per gli oppositori di Castro o di Putin». Il sindaco di Firenze? «E' uno che ha sparigliato», con lui «probabilmente il Pd avrebbe vinto le elezioni», anche se il termine rottamazione «mi è parso volgare e violento».
à bastato per far scattare la mini-scomunica. Certo tra i dieci firmatari ci sono diversi ortodossi (Michele Anzaldi, Lorenza Bonaccorsi, Ernesto Carbone, David Ermini), ma questo non significa che la lettera sia stata scritta a Firenze o ispirata dal sindaco. Però il riflesso segnala, nel migliore dei casi, una certa, conosciuta debolezza culturale del gruppo renziano. Oppure il riaffiorare di un tic troppo antico a sinistra per essere di nuovo vero: i capi si amano, non si discutono.
FRANCESCO DE GREGORI FRANCESCO DE GREGORI matteo renzi in barca su diva e donna MATTEO RENZI FRANCESCO DE GREGORI MATTEO RENZI
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