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Guido Olimpio per il Corriere della Sera
Sono le 17.41 dell'11 settembre 2012. Due ore prima il consolato Usa a Bengasi è stato attaccato dai terroristi. Hillary Clinton chiama il direttore della Cia, David Petraeus: «Abbiamo notizie confuse. Voi cosa sapete?».
L'appello - rivelato ieri dalla stampa statunitense - svela come, in un momento critico, 007 e diplomatici non fossero sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda. Una carenza di coordinamento che forse ha aggravato il disastro conclusosi con la morte dell'ambasciatore e altri tre americani. Perché ognuno operava per proprio conto. Una conseguenza di come era stato creato l'avamposto in Cirenaica.
I primi ad arrivare erano stati quelli della Cia e sono stati anche gli ultimi ad andarsene. Dei 32 evacuati nelle ore successive all'assalto solo 7 erano diplomatici. A Bengasi l'ufficio più importante non era la sezione speciale - di fatto il consolato - ma la base segreta dell'intelligence. Ospitata in una «casa protetta» a circa due chilometri dalla sede diplomatica, monitorava i traffici d'armi dei qaedisti. Solo in un secondo momento il Dipartimento di Stato aveva mandato i «suoi», guidati dal futuro ambasciatore Chris Stevens.
Dalla ricostruzione filtrata sui media - in particolare sul Wall Street Journal - risulta evidente un «malinteso» gravissimo. I diplomatici erano sicuri che in caso di emergenza la Cia avrebbe contribuito alla difesa del consolato in quanto aveva i «muscoli». Ossia più uomini armati rispetto alla pattuglia che proteggeva Stevens. «La Cia era la cavalleria» ha spiegato una fonte, solo che non sapeva di esserlo. Ma anche il Dipartimento conosceva poco di quello che facevano gli 007.
E recrimina: siamo stati tenuti al buio, così anche i libici. Tanto è vero che quando un team americano va all'aeroporto di Tripoli per trovare un velivolo con il quale raggiungere Bengasi perde del tempo prezioso. La valigia piena di dollari che gli 007 si sono portati dietro per noleggiarlo non produce effetto. I libici vogliono capire. Le ore volano e la squadra sarà a destinazione con grande ritardo. Stessa scena si ripeterà all'arrivo, con un nuovo braccio di ferro con le autorità di Bengasi e problemi negli spostamenti guidati dal Gps.
Certo, la Cia è un servizio segreto e agisce nella clandestinità . Solo che in questo caso ha dovuto uscire allo scoperto. E qui non possono essere sottovalutati gli errori compiuti da Washington nei mesi precedenti. C'erano richieste di rinforzi al quale hanno sempre risposto con un no. C'erano segnali che si stava preparando qualcosa. Persino la mattina dell'11 settembre venne segnalato lo strano comportamento di un poliziotto libico sorpreso a fotografare l'interno del consolato. Infine, c'era stato per settimane un aereo speciale a Tripoli che sarebbe stato utile per rispondere a situazioni inattese ma fu destinato ad altro teatro.
I funzionari, che ieri hanno confidato molti risvolti ai giornalisti, hanno ricostruito - al minuto - come la scorta della Cia si sia mossa in soccorso del consolato dopo circa 25 minuti. Ritardo provocato, dicono, dalla mancata collaborazione dei libici nel trovare delle jeep armate. Una precisazione per smentire la tesi che dal comando gli avessero detto di «stare al coperto». Sempre quella notte l'intelligence spostò un drone su Bengasi, però essendo disarmato poteva solo trasmettere immagini.
Poi la coda velenosa contro il direttore Petraeus, accusato di non aver partecipato ai funerali delle quattro vittime e di essere andato alla prima del film Argo la sera di un animato dibattito al Congresso sull'affare Bengasi. Sarà lui a pagare? Vedremo, gli osservatori non lo escludono. E usano la classica frase che dice tutto: «Hanno spinto il generale sotto il bus».
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