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Goffredo De Marchis per "la Repubblica"
«Attenti all'arroganza dei vincenti annunciati. Mi arrabbio quando vedo candidati che già pensano alle poltrone di sottosegretario». Matteo Renzi sembra un animale in gabbia. Certo, la «gabbia» è Palazzo Vecchio, i saloni medicei, la vista sugli Uffizi e Piazza della Signoria. à il lavoro che ama in una nella città più famose del mondo. Ma qui, nello studio affrescato dove sono esposti i disegni dei figli e le foto di La Pira, Mandela e Napolitano, si capisce che accanto al sindaco di Firenze leale con il candidato del centrosinistra c'è anche lo sconfitto che pensa a quello che poteva essere: lui al posto di Bersani, lui in corsa per Palazzo Chigi, lui nella campagna elettorale che forse cambierà l'Italia.
«Sono felice di essere tornato a occuparmi di sensi unici», dice Renzi. Non gli sta stretto. «Sono sereno». E il ruolo che ha scelto. Poteva chiedere ministeri, posti istituzionali. Non l'ha fatto e non lo farà . Però dopo le elezioni si riparte. «Farò una trasmissione alla radio, su un network nazionale. Non solo parole, anche musica. Voglio parlare a tutti. Quello che mi preme è tenere vivo l'entusiasmo per la politica che ho visto durante le primarie».
Adesso il suo compito, per il bene della «ditta», è la campagna elettorale. Non si capisce bene come, questo è il punto. E non si capisce se la posizione defilata è una sua scelta o di Bersani. Beh, il mistero, nel salone di Palazzo Vecchio, può essere svelato. Il segretario non gli ha mai chiesto di creare un tandem. Renzi si aspettava comunque un maggior coinvolgimento. Si era messo a disposizione per una campagna all'americana. Lui apriva l'iniziativa e introduceva Bersani come una star.
Il candidato ha detto no lasciando cadere la cosa. Gli ha chiesto invece partecipazioni televisive dalla Gruber, dalla Annunziata che oggi parte con Leader su Raitre o dalla Bignardi dove sarà ospite mercoledì. Gli ha chiesto di dare una mano per il Senato in Lombardia e in Veneto. «Al Sud no perché non ho preso molti voti». Traduzione: Renzi dovrà attirare i delusi del centrodestra al Nord. «Mi hanno massacrato per quella definizione con cui aprii il tour delle primarie. Bene, oggi si vede che quei voti valgono doppio.
Secondo me gli elettori in uscita dal Pdl hanno cinque strade di fronte. Rivotano Berlusconi. Scelgono Monti come uomo del rigore. Imboccano la via dell'astensionismo. Mandano tutti a stendere e abbracciano Grillo. Oppure votano noi e non è semplice convincerli. Ma non è un tradimento cercare quei voti. I traditori veri sono gli Scilipoti».
La desistenza con Ingroia, il dialogo con Monti sono formule che gli scivolano addosso. «Non metto bocca sulle decisioni di Pierluigi. Avrei preteso lo stesso se ci fossi stato io al posto suo. Lo sostengo punto e basta. I distinguo non si fanno alla vigilia delle elezioni. Mi sento di dire solo: occhio. I sogni di un sottosegretariato sono legittimi ma prima bisogna vincere». Si vede dalle smorfie che non condivide la gestione della campagna. «Io spero che il centrosinistra abbia una maggioranza piena. Dovrebbe essere la preoccupazione di ogni dirigente del Pd. Il punto non è solo evitare il bis del â94, quello lo considero scontato. Il problema è non rischiare nemmeno la fine del 2006».
Lo preoccupa il ritorno di Berlusconi. «à uno straordinario esemplare da campagna elettorale. Due mesi fa, dopo il nostro dibattito a 5 su Sky, andò in onda un Porta a porta sul centrodestra. Una tristezza infinita, erano morti. Adesso Berlusconi mi sembra vivo, molto vivo». Considera «allucinante» l'ipotesi di una vittoria del Pdl. Eppure invita a coltivare la «consapevolezza di sé» senza usare «l'arroganza dei vincitori in pectore».
La sua agenda ora non è quella Monti e neanche quella Bersani. E fatta di viabilità sui Lungarni, della soddisfazione per i 15 milioni sbloccati dal governo a sostegno di progetti cittadini, dell'appuntamento con Lucio Presta per riportare Benigni e Dante a Santa Croce. Oggi c'è il funerale di Marina Quartini, una socia coop che gli voleva bene come un figlio. «Era comunista. E stata la prima a credere in me».
Poi le date lombarde e venete. «Darò una mano a Ambrosoli». Anche sulla comunicazione avrebbe fatto diversamente. Senza la presunzione di avere ragione, anzi. «Posso solo suggerire di parlare un linguaggio di speranza, di entusiasmo, di coinvolgimento. Ma contro di me la strategia di Bersani ha funzionato. L'ultima settimana eravamo sotto di soli due punti, poi l'immagine tranquillizzante di Pierluigi ha spostato gli incerti verso di lui. Ha vinto la rassicurazione sull'avventura della novità . Quindi...». Ha più tempo libero.
L'altra sera ha dato un aiuto in casa preparando la cena ai tre figli. «Babbo, tu sai fare solo la pasta al burro», lo ha rimproverato quello di mezzo. Si sono addormentati abbracciati davanti a Fiorentina-Roma di Coppa Italia. Ha dimenticato persino di mandare un messaggino di felicitazione al suo amico Pep Guardiola, neoallenatore del Bayern. Con Bersani sono meno frequenti gli sms.
L'ultimo è arrivato dopo l'intervista a Repubblica in cui Renzi contestava a Monti il ruolo di innovatore: «Con Fini e Casini vicino è come doppiare Capo Horn con un pedalò».
Scherzando, Bersani gli ha scritto: «Tu non avevi capito quella del tacchino sul tetto, io non capisco la storia del pedalò. Facciamo un altro pranzo, tu mi spieghi e stavolta pago io». Il tandem non c'è, ma il tifo e l'appoggio non verranno meno.
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