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DAGONOTA
Finito ko nel voto referendario e ancora suonato per gli effetti della batosta subita, lunedì sera il premier Matteo Renzi è salito sul Colle più alto convinto che avrebbe trovato all’angolo del Quirinale il suo vecchio procuratore di match truccati, Giorgio Napolitano detto nell’ambiente Bellanapoli.
Ma quando è suonato il gong dell’incontro, il Ducetto di Rignano sull’Arno, sbalordito, si è trovato di fronte il nuovo inquilino del palazzo, Sergio Mattarella. Un capo dello Stato ancora incazzato per i modi extra istituzionali con cui il presidente del consiglio aveva annunciato le sue dimissioni.
Cioè, dichiarando urbi e orbi in tv che lui avrebbe lasciato la poltrona di Palazzo Chigi “a prescindere”, come avrebbe detto Totò. In piena continuata con quella sua mancanza di senso dello stato che ha caratterizzato il suo agire nei mille giorni alla guida del governo. Insomma, la sua non è soltanto mancanza di “cultura di governo” come, a bocce ferme, si è ricordato di osservare Ezio Mauro su la Repubblica dell’altro giorno.
Un dettaglio, appunto, sfuggito anch’esso all’attenzione dei giornaloni dei Poteri marciti che l’avevano affiancato (e sostenuto) nella tragica avventura referendaria. Una crociata che, alla fine, si è rivelata una storica WaterlNo sia per i media sia per il governo di nani e grembiulini guidato da Renzi. Il segretario-premier, che ha voluto resuscitare pure “il culto della personalità” magari da santificare con una vittoria referendaria (e plebiscitaria). Un retaggio marxista (o fascista), con qualche esempio residuale oggi nella Corea del Nord di Kim il-sung. E, ultimo dettaglio.
Forse sarà stato pure casuale, ma al momento del congedo l’unica personalità citata dal rottamatore Matteo non è stato De Gasperi o Berlinguer, ma Sir Robert Baden Powell. Il fondatore dei boy scout sospettato di essere un capo e ideologo massone.
L’insolito passaggio finale, invece, non è passato inosservato al Capo dello stato. L’arbitro della partita della crisi, ha ricordato subito al Tyson dei mozzorecchi che da quel momento non avrebbe più tollerato altri colpi bassi. E ha “congelato” le sue dimissioni spiegandogli che come nel pugilato (o nel calcio) in politica esistono delle regole del gioco che vanno rispettate.
Ecco la ragioni per le quali, a dispetto delle paginate dei media tradizionali tese a drammatizzare la situazione politica dopo aver pronosticato il crollo della nostra finanza per effetto di un successo del No, il percorso della crisi appare avviato sul binario giusto. Come emerge dalle prime dichiarazioni ufficiali. Tutte le forze presenti in parlamento, da Grillo a Salvini passando per Berlusconi, sollecitano elezioni anticipate in tempi brevi.
Il che significa nella prossima primavera in assenza di una nuova legge elettorale dando per scontato che l’Italicum renziano sarà bocciato dalla Corte costituzionale e andrà rimpiazzato. E il nome naturale per la successione di Renzi a palazzo Chigi è l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso. Una figura istituzionale, eletta nelle liste del Pd cui spetta la prima indicazione per una riedizione del centro sinistra. A seguire, tra le preferenze del Presidente della Repubblica ci sono l’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni.
Del resto l’ex presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, faceva osservare che “scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l'altro rappresenta l'opportunità”.
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