DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
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Come Dago-rivelato, Paola Ansuini, portavoce del premier Draghi, continua a ricevere richieste di interviste da quotidiani e programmi televisivi.
Tutti sognano la prima intervista in studio in esclusiva del presidente del Consiglio. Ma la linea per ora non è cambiata: nessuna tele-apparizione.
SuperMario preferisce evitare chiacchiere e promesse inutili: va al sodo. Davanti a sé il presidente del Consiglio ha tre dossier, uno più rognoso dell'altro, di cui venire a capo.
1. RAI
Nella nomina dei vertici, Draghi sogna il bing bang, resettare l'inestricabile garbuglio politico di viale Mazzini, evitando il pantano dei veti incrociati dei partiti, magari per piazzando al vertice un "papa straniero".
Un professionista che non sia assimilabile a un'area politica e che dunque abbia le mani libere per ribaltare il carrozzone Rai e renderlo moderno ed efficiente.
Il nome di Giorgio Stock, ex presidente di Warner Media, è uno dei tanti nella lista dei papabili. Ma il premier non ha ancora deciso il sostituto del "vuoto a perdere" di Fabrizio Salini
La questione forse ancor più decisiva del "chi" andrà a ricoprire il ruolo di amministratore delegato è il "cosa" sarà necessario fare. Nei piani di Draghi c'è una "rinascita" della televisione pubblica. Il percorso da seguire potrebbe imboccare sentieri inesplorati, come la vendita di almeno una rete e un diboscamento della inutile motitudine di canali digitali…
2. RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
La riforma di Marta Cartabia, che ormai è chiaro sarà imperniata su una prescrizione "progressiva", è più vicina alla "sensibilità" del centrodestra che a quella del Pd, ed è molto distante dai piani dei Cinquestelle.
Anche per questo nel governo nessuno strepiterebbe per un voto contrario in Consiglio dei ministri e poi in Aula dei grillini: sarebbe un modo, per il traballante Movimento, di marcare una distanza identitaria, mettere una bandierina senza però minacciare la sopravvivenza del governo.
Una settimana fa, per sondare il terreno, Cartabia ha incontrato Bonafede. L'ex ministro della Giustizia, fedelissimo di Conte, è stato ondivago e interlocutorio.
La disgregazione del M5s e la faida tra l'Avvocato di Padre Pio e Grillo gli ha impedito di dare risposte chiare sull'orientamento del Movimento. Dal balbettamenti di Fofò, Cartabia ha capito che poteva andare avanti con la sua riforma.
Nel Pd il 60% dei parlamentari è favorevole alla riforma. Il restante 40% non avrà il coraggio di manifestare la propria insoddisfazione. Per loro vale il diktat del segretario Enrico Letta: "il governo Draghi è il governo del Pd". Dunque, aprite la bocca e ingoiate il rospo.
A dare man forte al ministro Cartabia, ci sono i referendum sulla Giustizia promossi da radicali e Salvini. Maggiore sarà il consenso riscosso dall'iniziativa, più evidente diventerà l'urgenza di una riforma che vada a ricalibrare lo strapotere dei magistrati sulle vite dei cittadini.
Quegli stessi magistrati che il Guardasigilli incontrerà solo dopo aver definito un accordo con le forze politiche, a voler ribadire che le leggi si fanno in Parlamento e non in camera caritatis.
3. MONTE DEI PASCHI DI SIENA
Draghi vorrebbe definire il destino del catorcio Montepaschi prima della fine dell'estate. Un secondo polo bancario intorno a Unicredit, dopo quello creato da Intesa, è considerato necessario: la capitalizzazione dei nostri istituti è tale che un medio colosso straniero, tipo Credit Agricole, non avrebbe alcuna fatica a papparseli.
MASSIMO TONONI GIUSEPPE CASTAGNA
Le ritrosie dell'ad di Unicredit, Orcel, a procedere spedito su Mps non è legato a quel che potrebbe trovare nei cassetti più nascosti dell'istituto ma alla sovrabbondante dotazione di sportelli cui dovrebbe far fronte in caso di fusione. Rischia di ritrovarsi nelle stesse condizioni di Cimbri dopo l'assalto di Intesa a Ubi, con oltre 500 filiali da sistemare.
Inoltre Orcel vorrebbe che il governo Draghi facesse abbassare la cresta all'ad di Bpm, Giuseppe Castagna. Un eventuale secondo polo bancario dovrebbe passare per Siena e finire con la fusione Unicredit-Bpm. Ma senza un ridimensionamento delle ambizioni di Castagna (che mira a diventare il numero 2 del nuovo colosso mentre Orcel vuole scegliersi il vice da sé), l'aggregazione diventerebbe un'opa ostile con conseguente bagno di sangue per l'istituto di piazza Cordusio.
E poi bisogna vincere le resistenze dell'ad di Mps, Bastianini, quota 5Stelle, che non vuole saperne di finire nel pancione di Unicredit (preferirebbe una banca pubblica). Il Dg del Tesoro, Alessandro Rivera, per sbloccare l'impasse ha consigliato a Draghi di sostituire Bastianini e piazzare al suo posto Victor Massiah, come traghettatore.
SuperMario non è così convinto: l'ex consigliere delegato di Ubi Banca è sotto processo con l'accusa di ostacolo all'autorità di vigilanza e illecita influenza in assemblea, in relazione all'assemblea di Ubi Banca del 20 aprile 2013. E per lui la procura ha chiesto 5 anni di reclusione (6 per Bazoli).
Inoltre il coinvolgimento di Massiah sarebbe "a tempo", finalizzato alla fusione, quindi - è il ragionamento di Draghi - perché terremotare i vertici di una banca solo per piazzare un management temporaneo? E' meglio trovarne un altro o magari convincere il grillino Bastianini a scendere a miti consigli…
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