UN “FALCO” TRUCCATO DA NOBEL - LA DOTTRINA-OBAMA - GUERRA AL TERRORISMO ATTRAVERSO LO SPIONAGGIO - NON SI FERMA NEANCHE CON LO SHUTDOWN

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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Chi si stupisce perché il premio Nobel per la Pace Barack Obama frena i raid in Siria, ma invia i Navy Seals e la Cia a catturare o uccidere terroristi in Somalia e Libia, non ha affatto studiato la sua strategia.

Dal principio, infatti, l'obiettivo è stato quello di terminare o evitare le guerre di scelta, e concentrarsi invece con determinazione nella lotta quotidiana di intelligence e polizia, contro gruppi e individui che puntano ad organizzare attentati contro gli americani e i loro alleati. Una dottrina a cui la Casa Bianca non può rinunciare, anche nel mezzo dello shutdown e della prevedibile crisi per il tetto del debito.

Nel 2008 Obama aveva fatto campagna contro la guerra in Iraq, perché la riteneva una distrazione ingiustificata dalla lotta contro al Qaeda. Aveva accettato l'intervento in Afghanistan, come azione necessaria a scardinare l'organizzazione di Bin Laden, ma era intenzionato a concluderlo appena possibile.

Era anche scettico sul termine «guerra al terrorismo», perché troppo vago ed equivocabile con una guerra contro l'islam. Nello stesso tempo, però, era deciso a continuare la lotta contro al Qaeda, anche perché al primo attentato in terra americana i critici gli avrebbero rimproverato di aver indebolito le difese degli Stati Uniti.

La sua strategia militare, dunque, si reggeva su due pilastri: ritiro da Iraq e Afghanistan, ma massima determinazione nel combattere il terrorismo, considerando questa lotta come un'operazione di intelligence, polizia e raid mirati. Da qui il blitz che aveva ucciso Osama, ma anche i droni e il rinvio della chiusura di Guantanamo. Sul piano diplomatico, questa strategia era accompagnata dall'apertura all'islam moderato, iniziata col famoso discorso al Cairo, per cercare di separarlo da quello estremista.

Qui certamente non ha ottenuto i risultati sperati, anche perché l'esperimento dei Fratelli Musulmani in Egitto è fallito, e alleati come Turchia e Giordania non sono riusciti a svolgere il ruolo che ci si aspettava da loro per pilotare rivolte come quella siriana verso una soluzione accettabile, senza lasciare il paese nelle mani di Assad o di al Qaeda.

Questa dottrina Obama, elaborata insieme all'ex consigliere per la sicurezza nazionale Brennan che oggi è capo della Cia, aveva ricevuto un aggiustamento fondamentale con il discorso che il presidente aveva pronunciato il 23 maggio scorso alla National Defense University: «Il nostro sforzo sistematico di smantellare le organizzazioni terroristiche deve continuare. Ma questa guerra, come tutte le guerre, deve finire. Lo consiglia la storia e lo domanda la nostra democrazia».

Obama aveva spiegato che «oltre l'Afghanistan, non dobbiamo definire il nostro impegno come una sconfinata "guerra globale al terrorismo", ma piuttosto come una serie di operazioni persistenti e mirate a distruggere specifiche reti di estremisti violenti che minacciano l'America».

Da qui la decisione operativa di limitare l'uso dei droni, restituire la loro gestione al Pentagono, e riportare il focus della Cia sullo spionaggio tradizionale. In più il presidente aveva riaffermato l'intenzione di chiudere Guantanamo, processando i detenuti che non si possono liberare, e limitare i suoi stessi poteri di guerra, approvati dal Congresso dopo l'11 settembre 2001.

Le azioni condotte in Libia e Somalia rientrano perfettamente in questa strategia, così come il tentativo di evitare un intervento militare in Siria. Queste sono priorità fondamentali per la sicurezza degli Stati Uniti, e quindi devono procedere anche durante lo shutdown e l'imminente crisi del debito, dimostrando semmai l'irresponsabilità di chi provoca tali scontri politici ingiustificati e dannosi per gli interessi nazionali.

 

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