DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 - IL COLLE PRONTO ALLA SVOLTA CONTRO L' INCUBO MERCATI IPOTESI INCARICO A SALVINI
Ugo Magri per “la Stampa”
Ora che lo spread ha sfondato quota 300, e sta spargendo il panico tra i risparmiatori, perfino i peggiori complottisti si rendono conto che le angustie del Presidente, e il suo «no» a Savona, avevano un loro drammatico perché. Così, quasi d'incanto, i toni bellicosi sono scomparsi, la richiesta grillina di impeachment è stata rinfoderata, Di Maio ha teso la mano al Presidente che ancora 24 ore prima, da Vespa, additava come un golpista da processare (in base alla legge costituzionale n.1 del 1953, Mattarella avrebbe rischiato addirittura il carcere a vita).
Ma quel che più conta, il pericolo di precipitare nel baratro del default, peggio di 7 anni fa, ha riaperto di colpo tutti i tentativi di mettere in piedi una maggioranza politica. E il Capo dello Stato ha fermato, per la centesima volta, le lancette dell' orologio.
LA FUGA DAL RETRO
Che qualcosa di nuovo e di molto imprevedibile stesse accadendo, lo si è percepito al Quirinale verso le 17,30. Tutte le telecamere erano già puntate sulla porta da cui Cottarelli sarebbe uscito per annunciare la lista dei suoi ministri. Ma il tempo passava e niente, del presidente incaricato neppure l'ombra; salvo scoprire poi che se n' era andato alla Camera quasi di soppiatto, ufficialmente per mettere a posto alcune caselle ancora ballerine del suo governo elettorale.
Una scusa cui nessuno, ovviamente, ha creduto: si trattava in fondo di mettere insieme una dozzina di nomi, che difficoltà Cottarelli poteva mai incontrare? Qualcuno ipotizza dubbi sul candidato alla Giustizia. Comunque sia, non era il vero motivo dello stop. Lo si è acclarato verso sera, con il diffondersi sempre più insistente delle voci su nuovi tentativi per dar vita a maggioranze politiche, «in zona Cesarini» come si sarebbe detto un tempo.
sergio mattarella carlo cottarelli
Le fonti ufficiali del Colle tacciono, però è chiaro che Mattarella ha ritenuto giusto sospendere di qualche ora la nascita del governo in quanto non si sa mai, vedi tu che magari stavolta ci riescano per davvero. E pure in questo caso c'entra molto lo spread, contano gli allarmi lanciati dal Governatore di Bankitalia, pesano le consultazioni informali con il ministro Padoan e, ovviamente, a Francoforte con Draghi.
Di fronte all'eventualità che i mercati possano sfuggire al controllo trasformando la tempesta finanziaria in tsunami, occorre un governo in grado di adottare misure urgenti adeguate. Si tratterebbe di provvedimenti emergenziali, fuori della portata di un governo sfiduciato dal Parlamento, quale certamente sarebbe quello guidato da Cottarelli. Decisioni all'altezza della sfida potrebbero essere prese soltanto da un esecutivo votato dalle Camere, dunque «politico».
Che sempre è stato la prima scelta del Quirinale, figurarsi dunque se Mattarella poteva far leva sui rancori e negare ai partiti la possibilità di ripresentarsi da lui con il cappello in mano, offrendo «collaborazione». Purché non Savona Che cosa possano generare questi tentativi in extremis, nessuno è in grado di prevedere. Dall' alto del Colle si osserva soltanto una ritrovata centralità di Salvini che adesso può giocarsi le migliori carte coi Cinque Stelle. È addirittura possibile che sia proprio il leader della Lega a ricevere l' incarico di governo, oppure ne ceda l' incombenza al fido Giorgetti. Il Colle resta spettatore; stamane attende notizie con un occhio, ovviamente, allo spread.
L' unica certezza di Mattarella è che nessuno potrà riproporgli un pacchetto con dentro Savona, scatenando ancora di più i mercati. Qualora i partiti insistessero su quel nome, oppure non riuscissero a trovare il bandolo della matassa, Cottarelli verrebbe richiamato sul Colle per giurare con i suoi ministri. Seguirebbero dibattito in Parlamento, scontatissima bocciatura e scioglimento immediato delle Camere. E voto il 29 luglio (chi sta fissando le ferie, lo tenga a mente come data possibile). Il caldo sarebbe atroce, l' astensionismo da Guinness, ma aspettare ottobre sarebbe un azzardo. Il voto potrebbe arrivare con la Troika già insediata a Roma, indifferente ai voleri del popolo sovrano.
2 - DI MAIO E L'IMPEACHMENT "ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO"
Ilario Lombardo per “la Stampa”
Alla fine, prima di salutare tutti dal palco di Napoli, lo dice ed è come se mandasse il suo messaggio di scuse a Sergio Mattarella: «Se abbiamo fatto degli errori siamo anche disposti ad ammetterlo». Si è ritrovato solo, Luigi Di Maio, aggrappato a una decisione istintiva che nessuno condivideva. L' impeachment è rimasto un urlo di rabbia senza grande eco. E a un certo punto il leader si è reso conto che l' unico disposto a seguirlo, Alessandro Di Battista, stava per salire su un aereo per San Francisco.
Così, in poche ore, quando tutto sembrava perduto, matura l'impresa impossibile di riaprire la strada per il governo con la Lega. Grazie anche alla mediazione del presidente della Camera Roberto Fico (subito contrario all'impeachment)i riallacciano i contatti con il Colle, proprio mentre Carlo Cottarelli sta salendo con in tasca la lista dei ministri, e mentre i mercati martellano di angoscia l' Italia, nonostante l' incarico a Mr Spending Review. Lo spread fa paura, i fantasmi di un fallimento figlio dell' instabilità politica di un governo tecnico, neutrale, sfiduciato da tutti i partiti, ristabiliscono la necessità di una riflessione di emergenza. Tanto più se l' alternativo è il voto a luglio.
Di Maio si chiude con i suoi collaboratori. Incontra Salvini, ne parla con lui. E' un tentativo disperato che si poggia su un ragionamento che fanno ai vertici di M5S: «Come fa il Capo dello Stato a sciogliere Camera e Senato se una maggioranza parlamentare di fatto esiste, blindata attorno a un contratto di governo?». È la frase che Di Maio consegnerà alla folla che lo attende a Napoli pronta a incendiare le piazze al suo segnale. È la frase che ripeteranno tutti i deputati: «Una maggioranza c' è, il governo del cambiamento è ancora possibile».
Annulla tutti gli appuntamenti tv previsti per ieri e per questa mattina. Laura Castelli va dal parrucchiere per prepararsi a sostituirlo. Il passo è compiuto e viene formalizzato a Napoli dove Di Maio frena l' agitazione dei fan accorsi in massa urlando contro Mattarella: «Calmi, il presidente è mal consigliato. Possiamo ripartire. Fateci ripartire!».
Come? Perché ancora resta il nodo Savona. Lo affronta con Salvini che resta granitico: «Savona resta il mio ministro dell' Economia». Lo staff dei 5 Stelle chiama l'economista.
Un' ora di telefonata. Lui assicura: «Non voglio uscire dall' euro. Voglio solo un' Europa più politica e meno finanziaria». Promette che lo ribadirà, se necessario.
Di Maio non si opporrebbe a un suo eventuale passo indietro. Ma dovrà deciderlo l' economista assieme a Salvini. Se così non fosse i 5 Stelle sono pronti a proporre una mediazione: affiancare Savona con due ministri e due sottosegretari di peso. Un ministro, da quanto si apprende, sarebbe Enzo Moavero Milanesi, che andrebbe agli Affari europei come interlocutore privilegiato con Bruxelles. L' altro sarà il ministro degli Esteri, Luca Giansanti (anche se torna a circolare il nome di Massolo). Indirettamente, di rimbalzo dal Pd, circola anche la voce di un ruolo per lo stesso Cottarelli.
Rimane da capire chi farebbe il premier? Le telecamere del TgLa7 beccano il prof Giuseppe Conte che si aggira fuori da Montecitorio, ma la Lega adesso spera in un incarico per Salvini o Giancarlo Giorgetti.
Di Maio ha capito di aver sbagliato nei tempi e nei modi quando ha letto la lettera inviata da Beppe Grillo al Fatto . La messa in stato d' accusa del presidente della Repubblica non convince nemmeno i deputati più fedeli alla linea del leader e a metà pomeriggio è già chiaro che l' impeachment è una pagina chiusa. Dopotutto, la lettera di Grillo viene vissuta come una sculacciata dentro il M5S da chi legge il riferimento a Di Maio in un passaggio: «Non siamo affetti dalla sindrome dell' adolescente ribelle che spera che, alla fine, il padre gli dia ragione».
luigi di maio sergio mattarella
Ma è anche lo scenario di un voto anticipato a luglio a convincere il capo politico a un incredibile u-turn. Il volto dei deputati 5 Stelle a Montecitorio è inespressivo, sconsolato. In meno di due giorni i segnali che sconsigliano il ritorno alle urne si moltiplicano. Per la prima volta il M5S è dato sotto il 30%, al 29,5%. Ma soprattutto: la Lega è oltre il 27%. È un trend e vuol dire che il M5S potrebbe calare ancora. Poi se si andasse a votare, Di Maio potrebbe essere sì ancora il candidato premier, ma un candidato logorato, e tallonato dal globetrotter Alessandro Di Battista, pronto a tornare per l' incoronazione.
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