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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1.VITALIZI ADDIO PER 18 EX PARLAMENTARI
Tommaso Ciriaco e Emanuele Lauria per “la Repubblica”
silvio berlusconi fotografato da bruno vespa
Tanto rumore per (quasi) nulla. Gli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama, dopo lunga riflessione e minuziosa istruttoria, revocano diciotto vitalizi sui duemilaquattrocento attualmente pagati dallo Stato agli ex onorevoli. I più noti parlamentari colpiti sono Silvio Berlusconi ( con un vitalizio mai percepito di circa 8 mila euro al mese), il suo storico braccio destro Marcello Dell’Utri (4.985), Vittorio Cecchi Gori (3.408), l’ex deputato e vicesegretario socialista Giulio Di Donato (4.035) e l’ex ministro liberale Francesco De Lorenzo (4.013).
Come stabilito, non pagano invece pegno i condannati in via definitiva per reati con pena minima inferiore a sei anni. E dunque si salva chi si è macchiato per abuso d’ufficio o voto di scambio.
Basta un primo, sommario conto per capire che quello delle Camere è solo un “buffetto”. I diciotto vitalizi revocati (a dieci deputati e otto senatori) faranno infatti risparmiare 812.964 euro (364.224 al Senato, 448.740 alla Camera) su un totale di 230 milioni spesi ogni anno per gli “ex”. Non che la misura mirasse esclusivamente al risparmio, ma resta il fatto che aver alzato la pena minima per la revoca del vitalizio ha ristretto notevolmente la platea degli esclusi dall’assegno.
Oltre ai nomi già citati, la ghigliottina cala sugli ex senatori Pasquale Squitieri (regista eletto nelle file di Alleanza nazionale), Antonio Franco Girfatti (3.408 euro al mese), Giorgio Moschetti, Vincenzo Inzerillo (condannato per concorso esterno) e Franco Righetti. E per i deputati Massimo Abbatangelo (missino condannato per detenzione d’esplosivo), Giancarlo Cito (2.139), Robinio Costi, Massimo De Carolis, l’ex segretario e ministro del Psdi Pietro Longo, Raffaele Mastrantuono, Gianstefano Milani, Gianmario Pellizzari.
Resta invece in piedi la questione dei parlamentari ultraottantenni. Sono 604 gli ex parlamentari che percepiscono un vitalizio e che, in forza di una norma di epoca fascista, hanno un casellario giudiziario “pulito”. Impossibile, per gli uffici, sapere ufficialmente quali condanne abbiano e dunque eventualmente applicare la revoca del beneficio. Almeno per ora, visto che la platea potrebbe allargarsi dopo l’accertamento richiesto alla Cassazione dai presidenti Grasso e Boldrini. Quest’ultima intanto promette: «L’impegno continua».
Per arrivare al “taglio” l’ufficio di presidenza del Senato ha affrontato momenti di tensione. Dopo tre ore di discussione, Pd Sel e Area popolare si sono espressi a favore, mentre Forza Italia non ha partecipato al voto, schierandosi con l’ex Cavaliere. Contrari alla misura anche Lega e Movimento cinque stelle, ma per le ragioni opposte: l’intervento - sostengono - è solo una «farsa» e meglio sarebbe abolire i vitalizi. Stessa linea dell’Idv. E proprio in questo senso va la proposta di legge depositata ieri dal democratico Matteo Richetti: «Basta con i pannicelli caldi».
2. E LA POLITICA RICHIAMÒ IN VITA L’ARCHEOLOGIA DEL MALAFFARE
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Visti con gli occhi di oggi, per quei pochi ormai che ancora se li ricordano, sono i nonnetti del perenne malaffare italiano, pura archeologia politica e criminale, confusa malinconia civica ed esistenziale.
Cristiana Pedersoli e Francesco De Lorenzo
Forse perché troppe se ne sono viste, dopo di loro. E comunque: se al Senato, come dio vuole, hanno tolto questi benedetti vitalizi a parecchi personaggi bene o male emersi nella Seconda Repubblica (i cattivacci del berlusconismo Previti e Dell’Utri, l’ineffabile produttore Cecchi Gori, il regista fasciocomunista Squitieri), con il dovuto affanno a Montecitorio hanno acceso una specie di macchina del tempo, e così l’agognata decurtazione ha finito per colpire dieci piccoli grandi fantasmi di un’Italia che non c’è più.
Ribadito che la presente non sembra poi molto diversa, né migliore, il vicepresidente cinquestelle dell’assemblea, Di Maio, li ha graziosamente definiti «sfigati », il che sul piano anagrafico sarà anche un po’ vero, ma in un’altra prospettiva suona come minimo riduttivo.
O almeno: dieci anni prima che egli nascesse, Massimo De Carolis, democristiano d’intransigente anticomunismo, già promotore della Maggioranza silenziosa e vittima di un attentato delle Brigate rosse, intratteneva fitti rapporti con Licio Gelli, Venerabile Maestro della Loggia segreta P2, e con quell’altro cuoricino di Michele Sindona, per giunta latitante all’hotel Pierre di New York, e lì a quei tempi dedito a gestire le finanze di rischiosi ambienti siculo-americani.
Non era l’unico, certo. Ma anche solo a considerare la caratura di quei due gentiluomini si comprende che la designazione di «sfigato» suona povera, se non peggio. Poi sì, certo, l’astro di De Carolis, che anche a 50 anni conservava la faccia da bambino cattivo, declinò. Si fece buttiglioniano, poi berlusconiano, come tale ebbe diversi guai giudiziari, al termine gli fu fatale un depuratore.
I rifiuti solidi urbani, del resto, nel senso di una controversa privatizzazione della Nettezza Urbana, hanno segnato la sorte di altri due ex onorevoli del Psi napoletano, oggi esclusi dal vitalizio per vicende emerse intorno a Tangentopoli.
GIULIO DI DONATO CLAUDIO SIGNORILE
Uno è il baffuto Raffaele Mastrantuono, che da avvocato e deputato visitava Poggioreale prima di finirci dentro lui. L’altro una figura di spicco del craxismo, Giulio Di Donato, vicesegretario con occhioni azzurri e casa in fondo a Posillipo, approccio temerario e inesauribile alla politica seppure poco lungimirante, come si comprese dal lapidario commento dopo aver visto « Il Portaborse » di Luchetti- Moretti: «Mi viene da vomitare».
Sempre in zona il malricordo delle magnifiche feste capresi del riverito ministro De Lorenzo, che si liberò dei documenti scomodi bruciandoli in un pentolone nella cucina di casa. La Napoli della compravendita di voti e di immobili, ma anche dei candelotti di dinamite, il possesso dei quali mise nei guai l’ex onorevole missino Massimo Abbatangelo, pure rivelatosi assai poco selettivo nel legarsi a personaggi ad altissimo rischio.
«Svitalizzati » entrambi: il primo non se ne dispiacerà avendo intrapreso la via del riscatto; il secondo chissà.
Tolti i soldi anche al socialista lombardo Gianstefano Milani, tra i primi a incappare nel fantastico proto-scandalo delle «carceri d’oro»; come pure al capo della Coldiretti del Veneto bianco, Gianmario Pellizzari, naturalmente dc, che anche lui in epoca pre-Tangentopoli s’avventurò in un’azienda che riempiva di estrogeni le mucche e fece bancarotta.
Infine i profeti o, con meno enfasi, i precursori dell’oggi. Tra questi si annovera il focoso sindaco di Taranto Giancarlo Cito che, leghista anzitempo e populista senza speranze, assai prima di qualcun altro cominciò la sua scalata da una televisione privata. Poi è finito dentro e ha tentato il suicidio.
In galera ante litteram e poi ai servizi sociali anche Pietro Longo, leader di un Psdi precocemente svuotato di ogni ideologia, ma o forse proprio per questo fra i primi a sfidare il ridicolo cantando e ballando in televisione. Socialdemocratico deprivato di vitalizio anche Robinio Costi, dell’omonima dinastia capitolina: in gioventù aveva dato il meglio come truccatore di scena in « Cleopatra » e come attore in altre pellicole del genere. Un giorno, davanti all’attonito segretario del Psdi Cariglia, mollò un pizzone a un compagno suo rivale che si ritrovò senza un dente.
Erano tempi difficili e insieme fin troppo facili. Tutto in Italia cambia per restare uguale.
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