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Francesca Paci per "la Stampa"
La chiave per capire fin dove si spingerà la sfida dell'esercito egiziano ai Fratelli Musulmani è l'uomo che la guida, la nuova icona di Tahrir, il generalissimo che il 3 luglio ha deposto quello stesso presidente Morsi con cui si era congratulato via telegramma e dalle cui mani aveva ricevuto l'eredità dell'esautorato Tantawi. Il finora defilato Abdel Fattah el Sisi pareva un buon garante del primo voto democratico post Mubarak. E non solo per il ruolo di pontiere svolto dopo la rivoluzione tra caserme e moschee.
Classe 1954 e rappresentante della nuova generazione d'uniformi meno associata al vecchio regime, devoto al punto da citare il Corano nei suoi discorsi (si dice che la moglie o una delle figlie indossi il niqab), militare di carriera formatosi nell'intelligence in Sinai e perfezionatosi al Us Army War College della Pennsylvania nel 2005 con una tesi sul rapporto tra potere civile e militare intitolata «Democracy in the Middleast», il neo ministro della Difesa paragonato a Nasser ha sempre sostenuto di volere i soldati lontani dalla politica.
Oggi, mentre i giudici del Cairo fissano al 25 agosto il processo contro i capi della Fratellanza Badie e el-Shater, il sito israeliano «Debka» ipotizza l'annuncio imminente di una sua candidatura alla presidenza. Lo farà ? Lui l'ha negato nell'intervista al «Washington Post» in cui accusa Obama di aver voltato le spalle agli egiziani, ma fonti insider sibilano che «nulla glielo impedirebbe».
Di certo el Sisi è l'uomo più potente del paese e un sondaggio di Zogby accorda all'esercito il 94% del consenso (il 60% dei liberal lo vuole tutore di questa fase turbolenta perdonandogli la difesa dei test di verginità imposti dai militari alle attiviste nel 2012). Voci vicine ai Fratelli Musulmani citano a prova del «complotto» i suoi contatti con tutti gli attori nazionali avversari di Morsi, i pranzi con i poliziotti in sciopero contro il presidente, il cibo donato all'università al Ahzar dopo i casi di avvelenamento, colloqui mai confermati coi rivoluzionari di Tamarod.
Fonti dell'esercito invece raccontano un distacco graduale di el Sisi dai Fratelli: la cerimonia di ottobre per la guerra del Kippur in cui dovette sedere accanto all'assassino di Sadat, Tarek al Zomor ospite di Morsi, la partecipazione del presidente al meeting di giugno sulla Siria inneggiante al jihad e la sua sicurezza nel sostegno Usa nel momento del golpe.
Ora però, la tattica deve diventare strategia. El Sisi, il generale che si alza alle 5, lo sa, e oltre a telefonarsi «quasi ogni sera» col segretario alla Difesa Usa Hagel, con cui condivide «i modi diretti», ha ricevuto il vicesegretario di Stato Usa Burns e avviato colloqui informali con politici islamisti per negoziare la fine senza violenza delle proteste. Tahrir è con lui, ma all'inizio era anche con Morsi.
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