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1 - DIVENTA IN SALITA LA CORSA DELL'UOMO CHE NON SA PERDERE
Articolo di Mark Franchetti per il "Sunday Times" pubblicato da "la Stampa"
Presentandosi dinanzi ai suoi sostenitori mentre i risultati delle elezioni di domenica stavano già fluendo, Vladimir Putin, l'uomo forte della Russia, ha fatto sfoggio di coraggio. Benché Russia Unita abbia ottenuto il 14% in meno dei consensi rispetto alle elezioni del 2007 perdendo pure la maggioranza dei due terzi dei seggi di cui ha goduto negli ultimi cinque anni, Putin si è sforzato di apparire soddisfatto, rivendicando che i risultati «assicurano lo sviluppo stabile del nostro Stato».
Ma nessuno, nemmeno i suoi più stretti alleati, ha creduto alla sua recita. Il partito di Putin ha fallito per un soffio il 50% delle preferenze. E se in una democrazia questo sarebbe un gran risultato, non lo è nella Russia autoritaria di Putin dove al contrario fermarsi sotto la soglia della metà dei voti rappresenta la più grande sconfitta che il Cremlino ha incassato da quando Vladimir Vladimirovich è salito al potere 12 anni fa.
Nonostante alcuni esponenti dell'opposizione abbiano definito quelle di domenica «le elezioni più sporche della storia post-sovietica della Russia» il Cremlino ha mancato il bersaglio. All'unico vero partito di opposizione era stato impedito di partecipare alle elezioni; dipendenti pubblici, medici, insegnanti, studenti e soldati hanno lamentato pesanti pressioni per votare Russia Unita e la minaccia di subire tagli dei finanziamenti se non addirittura il licenziamento.
La copertura sulla tv di Stato è stata così servile da ricordare la propaganda dei tempi sovietici. E poi i brogli, diffusi. In uno scenario simile, la domanda che i russi si fanno a mezza bocca è quale sarebbe stato l'esito del voto per Russia Unita se le elezioni fossero state realmente libere e trasparenti. Il risultato è uno schiaffo per Putin poiché questa tornata elettorale era vista come un voto di fiducia verso il premier che due mesi fa ha annunciato che a marzo si candiderà alla presidenza. Una mossa questa che potrebbe proiettarlo al potere fino al 2024 e lo farebbe diventare il più longevo leader russo dai tempi di Stalin.
Putin non è abituato alle sconfitte. Qualunque cosa dica in pubblico, non c'è dubbio che il deludente risultato elettorale sia un chiarissimo avvertimento per lui ed il Cremlino che il malumore fra la gente sta crescendo. E in un sistema, quello "putiniano" che finora ha avuto il totale controllo della situazione e non tollera critiche, la batosta elettorale è spiazzante. Non a caso la leadership russa finora ha rifiutato di rispondere a domande su come si spieghi il netto calo di popolarità .
Per tutta la giornata elettorale di domenica, diversi siti Web, molto seguiti, che avevano pubblicato una mappa che riportava 5 mila casi di irregolarità elettorali, sono stati vittime di cyber-attacchi e sono stati oscurati. Certo non è questa la prova che le elezioni possano non essere definite libere e trasparenti. Piuttosto indicano chiaramente quanto ora debole e traballante appaia il sistema creato da Putin.
Non fraintendiamo però: i proclami dell'opposizione che la Russia vivrà una rivoluzione nei prossimi due anni sono fantasie. Il ritorno al Cremlino di Putin, che anche da primo ministro resta il politico più popolare del Paese, è scontato. Eppure qualcosa è cambiato nel Paese e per la prima volta in 12 anni il suo regno vacilla. Il leader russo è sempre stato abile nel cogliere gli umori del suo popolo, di capire d'istinto quello che la gente vuole e vuole sentirsi dire. Ma ha commesso un errore sottovalutando l'impatto sull'umore di milioni di russi dell'annuncio del suo ritorno al Cremlino. Per gli storici che descriveranno l'ascesa e la caduta di Putin, la data cruciale sarà il 24 settembre 2011.
à il giorno nel quale lui e il delfino Dmitry Medvedev hanno annunciato durante un congresso di Russia Unita che si sarebbero scambiati l'incarico. La maggior parte dei russi si aspettava che Putin sarebbe tornato, ma il modo cinico con cui ha comunicato la scelta - con Putin che ha confessato candidamente i due leader si erano già accordati anni prima sulla staffetta - è sembrato profondamente offensivo.
Ora per la prima volta c'è un palpabile senso di stanchezza nei confronti di Putin, rabbia verso l'endemica corruzione e amarezza per come un clan di «insider» vicini a Putin è diventata immensamente ricca. Due anni fa uno dei più famosi blogger anti corruzione etichettò Russia Unita come il partito dei «truffatori e dei ladri». Il marchio è diventato cosi di moda che persino lo stesso partito l'ha usato ironicamente in uno dei video ufficiali della campagna elettorale.
Un numero crescente di giovani in Russia - rivela un sondaggio - ora sogna di emigrare in cerca di un futuro migliore. Sempre più ricchi stanno vendendo società e aziende e trasferendo famiglia e i profitti all'estero poiché sotto temono che con Putin il futuro non sarà abbastanza prevedibile, sicuro e stabile.
In quello che molti hanno descritto come il momento chiave, il mese scorso Putin è stato fischiato dagli spettatori durante un discorso che ha tenuto alla fine di un combattimento di arti marziali. à stata la prima volta da quando il premier è arrivato al potere nel 2000 che una folla lo ha schernito in tal modo in faccia. In un altro segno di crescente pubblico malcontento, inconcepibile solo sei mesi fa, moscoviti che vengono bloccati in ingorghi lunghi chilometri quando la polizia li ferma per far passare il convoglio di Putin e Medvedev, ora strombazzano il clacson per protestare contro i due leader. à un piccolo segnale, ma significativo.
Ora tutti gli occhi sono puntati sulle presidenziali del 4 marzo. Il risultato è chiaro: Putin vincerà . Ma quello che le urne domenica hanno dimostrato è che il margine con il quale il leader russo tornerà al suo vecchio incarico non è per nulla certo. E se c'è una cosa a cui Vladimir Vladimirovich non è abituato, quella è l'incertezza.
2 - DOPO LE ELEZIONI IN RUSSIA I PETROLIERI SONO QUELLI CHE RISCHIANO DI PERDERE DI PIÃ
Edward Hadas per "la Stampa"
Nel gruppo delle grandi economie emergenti, la Russia è in coda alla classifica con riferimento a quattro dei sei indicatori di governance usati dal Fondo monetario internazionale. Per quanto riguarda gli altri due, la stabilità politica e la dimensione denominata «voice and accountability», che valuta la libertà di espressione e la responsabilità di chi governa, la valutazione del paese è comunque «scarsa». Il voto di domenica è una conferma di questa cupa analisi.
I risultati riflettono il calo di popolarità di Vladimir Putin, attuale primo ministro nonché ex e probabile futuro presidente. Nonostante il quasi-monopolio dei mezzi di informazione e il sospetto di brogli elettorali, il suo partito Russia Unita ha ricevuto meno di metà dei voti totali.
Ciò significa che avrà diritto a poco più di metà dei seggi nella Duma, contro i due terzi di cui disponeva nel parlamento uscente. In teoria, e nelle parole del presidente Dmitry Medvedev, questa è «democrazia in atto». In pratica, è difficile che la nuova costellazione politica possa migliorare il piazzamento della Russia rispetto agli altri indicatori dell'Fmi - efficienza del governo, qualità dei regolatori, primato della legge e controllo della corruzione resteranno fattori a rischio.
Il successo elettorale ha premiato un'opposizione che fa pochi progressi sul piano della credibilità politica. Il Partito comunista e il partito nazionalista Ldpr non hanno una politica economica coerente, mentre il partito Russia Giusta era stato creato dal governo per generare piccole dosi di critica leale. La nuova Duma sarà più populista, ma questa è una caratteristica che di solito si traduce in politiche economiche autodistruttive.
Ad esempio, la scelta di usare i proventi dell'export di energia per accontentare i pensionati può essere una buona notizia per questa fascia della popolazione, forte in una Russia sempre più vecchia, ma può rivelarsi disastrosa quando i prezzi di petrolio e gas scendono vicino ai costi di produzione. In Russia manca una tradizione di governance trasparente. Né esiste l'iniziativa economica necessaria per lo sviluppo di una moderna economia industriale.
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