VOI FATE I NEGOZIATI, NOI CI FACCIAMO ESPLODERE - 3 KAMIKAZE DELL’ISIS FANNO ALMENO 47 MORTI E 80 FERITI IN LIBIA - I JIHADISTI HANNO PUNTATO I POZZI DI PETROLIO, E L’ENI RIMPATRIA GLI ITALIANI

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1. LIBIA, TRE ESPLOSIONI AD AL QUBAH - ALMENO 47 MORTI, L’ISIS RIVENDICA

Da www.corriere.it

 

kamikaze isis in azione in libiakamikaze isis in azione in libia

Non si placano le violenze jihadiste in Libia. Tre kamikaze dell’Isis si sono fatti esplodere a bordo delle loro auto facendo strage ad al Qubah, a 35 chilometri dalla roccaforte del Califfato a Derna, nell’est del Paese. Il bilancio (provvisorio) è di 47 morti e 80 feriti, definiti «in condizioni molto gravi» in gran parte persone che erano in fila in macchina per fare rifornimento a una stazione di servizio, nei pressi di una sede delle forze di sicurezza.

 

SIRTE, L’ISIS QUI HA LA SUA ROCCAFORTE

Al Qubah si trova a metà strada tra Derna, roccaforte dell’Isis nell’est della Libia, e Beida, dove ha sede il governo di Abdullah al Thani, espressione della Camera dei rappresentanti di Tobruk. Intanto l’Isis avrebbe assunto ormai il pieno controllo di Sirte, la città natale di Muammar Gheddafi dove ha imposto il coprifuoco dopo la preghiera dell’Ishaa, prevista alle 20 ora locale. Il gruppo jihadista avrebbe occupato l’università e tutti gli edifici pubblici. Mercoledì la cellula locale del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi aveva pubblicato un video relativo a una parata dei miliziani a Sirte.

 

 

2. L’ISIS PUNTA AL GREGGIO: ENI IN RITIRATA

Sandro Iacometti per “Libero quotidiano

 

Isis - libiaIsis - libia

C’è chi sostiene che l’Isis, al di là dei proclami, non abbia intenzione di rinunciare ai flussi di denaro (oltre 2 miliardi l’anno) provenienti dai giacimenti petroliferi disseminati per la Libia distruggendo gli impianti di estrazione. La posta in gioco, però, è troppo alta. E per l’Eni, dopo il terremoto provocato dalla caduta di Gheddafi nel 2011, è di nuovo tempo di fare le valigie.

 

Secondo indiscrezioni riportate dal Corriere della Sera il Cane a sei zampe avrebbe ritirato tutto il personale italiano dal Paese per motivi di sicurezza. Una decisione che il gruppo stava valutando da settimane e che si è concretizzata in seguito all’attentato di fine gennaio all’Hotel Corinthia di Tripoli, che ha provocato nove morti.

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Del resto, la stessa Eni, dicendo di «monitorare con estrema attenzione l’evolversi della situazione», un paio di giorni fa ha spiegato che «la presenza di espatriati in Libia è ridotta e limitata ad alcuni siti operativi offshore, garantendo in collaborazione con le risorse locali lo svolgimento regolare delle attività produttive nell’ambito dei massimi standard di sicurezza».

 

A differenza del 2011, insomma, quando anche il lunghissimo (oltre 500 km) gasdotto che collega la siciliana Gela a Mellitah fu chiuso per 8 mesi, l’attività prosegue. Anche perché, la maggior parte delle installazioni e dei giacimenti in cui opera l’Eni insieme alla compagnia petrolifera di Stato (Noc) si trova nelle regioni occidentali della Libia, lontano dalle zone calde della guerriglia jihadista, e nelle piattaforme offshore, in mare. È qui che sarebbe asserragliato il manipolo di dipendenti Eni rimasto per evitare di chiudere i rubinetti.

 

miliziani islamici in libiamiliziani islamici in libia

A partire dalla piattaforma Sabratha, che attraverso il giacimenti di Bahr Essalam fornisce il gas da convogliare nel Greenstream. Operativi sono, ugualmente, gli impianti offshore di Bouri (petrolio) e quelli onshore di Wafa (gas e petrolio) ed Elephant (petrolio). Come ha detto mercoledì l’ad, Claudio Descalzi, «al momento non risultano impianti danneggiati».

 

 

descalzi descalzi

Anzi, rispetto ad una produzione media nel 2014 di 240mila barili al giorno, «l’ultimo trimestre si è arrivati a 275mila barili e in queste settimane vicino a 300mila barili al giorno». Siamo lontani anni luce dagli 1,6 milioni di barili pre Gheddafi, ma si tratta comunque di risorse che fruttano all’Eni quasi 4 miliardi l’anno, di cui 2 finiscono in pancia alla Noc, che incassa il 50% dei ricavi.

 

Soldi che fanno la differenza per un Paese di sei milioni di abitanti. «Anche con i prezzi del petrolio a 50 dollari al barile», ha detto in un’intervista l’ex ad Paolo Scaroni, «tutti i libici potrebbero vivere di rendita». Eppure, la possibilità che l’Isis pur di danneggiare l’occidente faccia a meno di quei quattrini non è da escludere a priori. Anzi.

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Sabato scorso è stato fatta esplodere una bomba contro l’oleodotto di Hariga che collega i giacimenti di Mesla e di el-Sarir, in Cirenaica (dove c’è l’unico impianto chiuso dell’Eni, Abu Attifel). Mentre il 4 febbraio un commando ha assaltato il giacimento di Mabrook, a sud di Sirte. Attacchi che faranno inevitabilmente scendere il livello della produzione indicato da De Scalzi. E che obbligano i vertici dell’Eni a fare i conti anche con l’imponderabile.

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