RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Alessandro Barbera per la Stampa - Estratti
Il gesuita Baltasar Gracián sosteneva che il saper dissimulare «è una gran dote per chi governa». Prendiamo le politiche fiscali dell’esecutivo Meloni.
Da mesi Maurizio Leo, ministro di fatto delle Finanze, punta tutto sulla riedizione del concordato preventivo biennale di tremontiana memoria. Per chi non ha consuetudine con la materia: il lavoratore autonomo stima il guadagno dei due anni successivi, l’amministrazione lo prende in parola, e in cambio niente controlli. Chi ha consuetudine con la materia, fa il mestiere del lavoratore autonomo ed ha accesso al proprio cassetto telematico fiscale, venerdì ha ricevuto il seguente messaggio: «Gentile contribuente, a partire dal periodo d’imposta 2023 è possibile accedere ai benefici previsti dall’istituto al fine di favorire l’adempimento spontaneo agli obblighi dichiarativi».
maurizio leo - giancarlo giorgetti
(...)
Leo ha in testa la riedizione del concordato sin da fine 2022. Quello precedente - che garantì alle casse dello Stato un gettito aggiuntivo di 57, 5 milioni di euro, l’1, 6 per cento di quanto atteso - non ha frenato il suo entusiasmo. E in effetti sulla carta il concordato dovrebbe essere una scelta convenientissima: basta dichiarare qualcosa di più dell’anno precedente, e il gioco è fatto.
Nel corso del tempo la faccenda però si è complicata. A fine giugno il software messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate prometteva di garantirlo a chi abbia un indice di affidabilità quantomeno pari alla sufficienza. E poiché in Italia la fedeltà fiscale è obbligatoria solo per i redditi da lavoro dipendente, il governo – spinto dal mondo dei commercialisti – si convince che così immaginato non avrebbe avuto successo. Il governo decide così di introdurre un incentivo: chi aderisce può pagare un’imposta sostitutiva fra il 10 e il 15 per cento: meno per i più affidabili, il massimo (si fa per dire) per i potenziali evasori.
maurizio leo - giancarlo giorgetti
Se non bastasse, nel frattempo il governo rivede le regole del vecchio redditometro e di fatto vieta gli accertamenti ai contribuenti la cui differenza fra reddito dichiarato e presunto è inferiore al venti per cento. Viene introdotto anche un tetto in euro: 69. 500 euro. Se la forbice è inferiore a quella soglia, niente controlli. Per inciso: se si è lavoratori autonomi, è già in vigore una tassa piatta al 15 per cento per chi dichiara fino a ottantaciquemila euro. Dipendesse da Matteo Salvini, nel 2025 sarebbe estesa a centomila. È finita qui? Non ancora.
(...) Ebbene, chi aderisce al concordato non solo avrà garanzia di non avere controlli per il futuro, ma nemmeno sul passato. Un passato nemmeno tanto recente: sin dal 2018. Per ravvedersi basta pagare un’imposta sostitutiva fra il 10 e il 15 per cento per la differenza fra quanto dichiarato e quanto evaso, pagabile anche in 24 rate. E siccome in mezzo c’è stata la pandemia, per il 2020 e il 2021 c’è un’ulteriore sconto di un terzo del dovuto.
MAURIZIO LEO E GIANCARLO GIORGETTI
La sanatoria è così sfacciata da creare imbarazzo fra i tecnici incaricati di rendere effettive le norme, sia del Dipartimento delle Finanze che dell’Agenzia delle Entrate. La parola più usata è «condono tombale», solo dissimulato in uno studiato millefoglie normativo. In queste ore il dibattito al Tesoro è piuttosto acceso. Dipartimento delle Finanze e Agenzia delle Entrate devono depositare in Parlamento le rispettive osservazioni, e – pur fra mille diplomazie – conterranno il giudizio di cui sopra: condono tombale.
giorgia meloni e giancarlo giorgetti 8
E così – lo riferiscono fonti concordanti – nella maggioranza è maturata la consapevolezza di aver ecceduto la causa. La norma cambierà, è oggetto di discussione il come: se riducendo il periodo d’imposta – al momento sono ben sei anni – o aumentando l’entità dell’imposta sostitutiva, o entrambe le cose. Una cosa è certa: il governo ha promesso di usare i fondi del concordato-condono per cinque milioni di italiani a favore del taglio dell’Irpef al 33 per cento ai redditi fino a sessantamila euro. Se così non fosse, il Fisco resterà amico dei soliti noti.
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