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Sandro Iacometti per “Libero quotidiano”
Dilettanti allo sbaraglio. Non è un titolo di Libero, ma del Frankfurter Allgemeine Zeitung, che ieri, dopo la retromarcia del governo, si è lanciato in un' analisi scientifica sulle strategie dell' esecutivo. Questo il senso: sono dei cialtroni. «In Italia», si legge sul quotidiano tedesco, «la classe politica ha un problema fondamentale: pur mossa da buone intenzioni nell' elaborazione dei provvedimenti, li attua male». Conclusione: «La strada lastricata di buone intenzioni intrapresa da un governo formato da dilettanti sta conducendo il Paese verso la recessione».
Era un po' di tempo che la Germania non ci dileggiava apertamente. O, perlomeno, che non lo faceva con la stessa sfrontatezza e la stessa frequenza degli anni scorsi, dove lo sberleffo e l' insulto erano praticamente quotidiani. Negli ultimi mesi sulla stampa tedesca sono addirittura comparse numerose analisi economiche in cui si ammettevano le pesanti colpe di Berlino nei confronti del nostro Paese.
DONALD TUSK ANGELA MERKEL GIUSEPPE CONTE MOAVERO
In una recente intervista a Heiner Flassbeck, professore fortemente polemico con Bruxelles e con lo stesso governo tedesco, si spiegava con ampie argomentazioni che la crisi economica italiana è colpa proprio della Germania, che grazie all' euro e ad una politica di moderazione salariale ha portato via quote di mercato agli altri Paesi del Continente, egemonizzando l'economia dell' Unione.
Intendiamoci, non è che i tedeschi con il passare del tempo siano cambiati o abbiano sviluppato sentimenti amorevoli nei nostri confronti. Continuano a disprezzarci esattamente come prima. Il fatto è che hanno troppi problemi interni per occuparsi dei nostri.
La crisi della grande coalizione, con la potente Cdu che ha iniziato a prendere sonori ceffoni alle urne e la strapotente Angela Merkel che è stata costretta a lasciare la guida del partito dopo 18 anni di regno incontrastato, ha costretto il Paese ad abbassare la cresta e a limitare allo stretto indispensabile gli attriti con gli altri membri di Eurolandia.
A pesare, poi, c'è anche la frenata dell' economia.
Ieri l'istituto Ifo di Monaco (Institute for Economic Research), che misura la fiducia delle imprese, ha tagliato le stime del pil nel 2019, prevedendo un calo all'1,1% rispetto al precedente 1,9%. Un rallentamento dovuto alla congiuntura complessiva dell' Unione europea e alle incognite legate al caos esploso sulla Brexit.
Le incredibili performance del governo italiano, però, hanno risvegliato i vecchi istinti. La Cancelliera continua prudentemente a non dire una parola, anche di fronte a scene che avrebbero suscitato ben più dei sorrisetti di scherno riservati a suo tempo a Silvio Berlusconi. Ma la stampa e l'opinione pubblica hanno deciso che anche su questo terreno non è più il caso di seguirla.
DIETROFRONT
Resistere dal commentare le gesta italiane, del resto, non è facile. Dopo due mesi e mezzo di prove muscolari con Bruxelles e di umiliazioni per il povero Giovanni Tria, che fin dall' inizio aveva consigliato di non ingaggiare un duello con la Ue sul deficit, il governo italiano non solo è tornato sui suoi passi, ma non è neanche riuscito a chiudere una volta per tutte la partita.
Il cantiere della manovra infatti non poteva essere più aperto. In Europa il consenso sul compromesso di un deficit per il 2019 al 2,04% non è ancora stato digerito. I falchi, tra cui, come si diceva, non c' è la Merkel, vorrebbero più sforzi. E ieri mattina il solito commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, si è lasciato sfuggire che i nuovi saldi non sono sufficienti ad evitare la procedura d' infrazione.
Sul fronte italiano la situazione è ancora più complicata. Il "numerino" tirato fuori da Giuseppe Conte per tentare di dare una svolta alla trattativa ha ricevuto il via libera da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma ora nessuno dei due sa come uscirne senza troppe ripercussioni.
Ci sono circa 7 miliardi da trovare e la coperta, almeno sotto il punto di vista politico, è cortissima. Il leader della Lega pensa, forse non a torto, di aver già fatto la propria parte. Sulla riforma delle pensioni con quota 100 circolano le versioni più diverse e strampalate, ma tutte confermano che dalla rimodulazione della misure sarà possibile recuperare più di due miliardi di euro da mettere sul piatto.
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
CREDIBILITÀ
Dall' altro lato c' è Di Maio, che ha ormai affidato al reddito di cittadinanza tutta la sua credibilità politica e non ha intenzione di indietreggiare di un millimetro. C' è chi sostiene che il leader grillino sarebbe disposto a concedere solo i risparmi derivanti dallo slittamento tecnico di due tre mesi dell' erogazione del sussidio. A conti fatti, però, si tratterebbe di poca roba. Meno di un miliardo di euro. Qualche spicciolo, si ragiona, potrebbe arrivare da una fisiologica percentuale di potenziali beneficiari che non ne faranno richiesta. Qualcuno si azzarda ad ipotizzare che la quota potrebbe arrivare fino al 10%.
Ma la sostanza non cambia di molto. Da dove uscirà il resto dei soldi? Si favoleggia di un imponente piano di privatizzazioni, di risorse spuntate da una serie di aggiustamenti contabili al bilancio. La realtà è che nessuno lo sa. Tria ieri è stato sequestrato a Bruxelles, dove è in corso il consiglio Ue, insieme al direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, per fare i conteggi. Ma tutti sanno che il ministro non ha alcun potere decisionale. Men che meno il suo tecnico.
La parola d' ordine del governo è: «manteniamo gli impegni». Ma il tempo passa e le soluzioni non arrivano. Anche il deficit al 2,4%, del resto, fino a poche ore fa sembrava un «impegno» preso, finché non si è scoperto che era una cosa diversa.
Dilettanti? Sono i tedeschi a dirlo. Ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile dargli torto.
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