DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Massimo Giannini per “la Stampa”
Meno male che Angela c'è. L'intervista esclusiva che la Cancelliera ha rilasciato ieri al nostro giornale è un capolavoro di realismo politico e di solidarismo europeo. Vedremo cosa produrrà di concreto l'impegno della Merkel al Consiglio Ue del 17 luglio, su quel Fondo per il Rilancio da 750 miliardi che al momento rappresenta lo sforzo più ambizioso mai tentato dall'Unione sulla via dell'integrazione istituzionale e dell'armonizzazione fiscale.
Ma intanto nelle parole della Cancelliera si coglie quella forte assunzione di responsabilità che da troppi anni manca alle classi dirigenti del Vecchio Continente. L'urgenza di "fare qualcosa di straordinario" in questa crisi drammatica e di tamponare una disoccupazione che "può diventare dinamite politica" e quindi "un rischio per la democrazia".
ANGELA MERKEL E GIUSEPPE CONTE
La necessità che tra "Paesi del Nord e Paesi del Sud" ciascuno si metta "sempre anche nei panni dell'altro", e che "la Germania non pensi solo a se stessa ma sia pronta a compiere un atto di solidarietà straordinaria".
Non sappiamo se questo basterà a piegare le resistenze dei "Frugal Four", i quattro Paesi-satelliti guidati dall'Olanda. Ma stavolta c'è almeno una speranza, riposta nella moral suasion del ricostituito asse franco-tedesco.
C'è tuttavia una parte dell'intervista della Kanzlerin che sembra suonare sgradita alle nostre orecchie da accidiosi mercanti accasati nel Tempietto del vittimismo. Il Recovery Fund, da solo, "non risolverà i problemi dell'Europa": ci sono ancora tante riforme che "devono essere realizzate dagli Stati membri", e l'Italia deve sapere che finanziamenti Bei, crediti del Mes e fondi Sure "non li abbiamo messi a disposizione perché restino inutilizzati".
Non c'è invasione di campo né lesione delle sovranità nazionali, in questi moniti della Cancelliera. Ma la semplice riaffermazione di un principio esistente: nessun pasto è gratis, gli aiuti ci sono ma se qualcuno li vuole deve saperli spendere per rilanciare davvero la crescita. Per questo ci fischiano le orecchie.
Negli ultimi dieci anni (e a prescindere della macelleria sociale e occupazionale causata dalla pandemia) l'Italia è cresciuta in media dello 0,2% all'anno, mentre la Germania cresceva del 2%. Questa è la banale verità che la generosa ma impietosa Angela ci sbatte in faccia.
GIUSEPPE CONTE URSULA VON DER LEYEN
Il nostro premier l'ha presa male: "A far di conto per l'Italia ci sono io, con Gualtieri, i ragionieri dello Stato e i ministri: ci stiamo predisponendo per un Recovery Plan italiano che presenteremo a settembre". Ben detto, Avvocato Conte: all'economia italiana ci pensiamo noi. Ma è davvero quello che stiamo facendo? Vogliamo prenderla in parola, in vista delle misure urgenti per l'autunno.
Da cittadini, signor presidente, ci permetta di riassumere cosa abbiamo visto in questa ultima decade. Dopo il Cura-Italia e il Rilancia-Italia (totale 80 miliardi) si profila all'orizzonte un altro decreto ("Aggiusta-Italia"?) che disporrà altri 20 miliardi di spesa in deficit. Stiamo tuttora affogando nell'emergenza, e tra nuova Cassa integrazione e fondi per gli enti locali c'è ancora enorme bisogno della rete di sicurezza pubblica.
In quest' ultima settimana, tra le tante che ogni giorno agitano il Paese, ci hanno scosso tre piazze in rivolta: lo sdegno delle tute blu in mascherina rossa per i 150 dissesti industriali, la protesta degli operatori della scuola contro le linee guida della Azzolina, la guerriglia tra autoctoni arrabbiati e stranieri disperati a Mondragone. Grida di rabbia e di dolore.
E chi di una stagione feroce in cui, come scrive Marco Revelli, nessuno si salva da solo. Ma al di là della stretta congiuntura, stiamo progettando una credibile exit-strategy da questa fase necessaria di economia assistita? Stiamo predisponendo un serio programma di riforme strutturali, che di qui all'autunno ci consentano di trasformare la calamità in opportunità? Purtroppo no.
ursula von der leyen incontra giuseppe conte a palazzo chigi 4
Il Piano Colao è già materia da paleontologi, da studiare come esempio di vacua propaganda nell'era del Covid. Gli Stati Generali sono già materia da semiologi, come allegoria del "parlar d'altro" in tempi di Lunga Depressione. Il Decreto-Semplificazioni è già al secondo mese di rinvii, senza una motivazione plausibile che non sia la resistenza del Burosauro Amministrativo.
Dunque, caro presidente, cosa resta di tanta "potenza di fuoco", sempre annunciata ma poco realizzata? Giusto un mortaretto: il taglio dell'Iva, sparato nel vuoto e subito silenziato dalle critiche di amici e nemici.
Eppure ci sarebbe un'altra priorità, da perseguire senza esitazioni (insieme a un grande piano di investimenti pubblici): una riforma organica del fisco, che riparta finalmente dall'Irpef.
L'ha suggerito il governatore di Bankitalia Visco: un "profondo ripensamento della struttura della tassazione deve porsi l'obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi", primo tra tutti il lavoro.
Lo accenna anche la bozza di Piano Nazionale delle Riforme: "L'elevato cuneo fiscale, pari in media al 48% del costo del lavoro, richiede interventi diretti a favorire sia maggiori margini di competitività delle imprese, sia una retribuzione dignitosa del lavoratore".
Perché non lancia un segnale forte su questo, presidente Conte? I livelli di prelievo fiscale sul reddito sono ormai fermi dal 2007. L'ultimo intervento sull'imposta sui redditi lo fece il Prodi Bis, che corresse quello varato due anni primi dal Berlusconi Ter.
Prima e dopo di allora (a parte gli 80 euro di Renzi ora elevati a 100 solo per alcune categorie) tutto è rimasto fermo. Tutti gli impegni presi per ridurre il carico fiscale sulle spalle degli italiani sono stati disattesi.
Tutti i governi hanno agito tutt' al più sul meccanismo detrazioni/deduzioni. Oggi tutti i partiti, a sinistra e a destra, hanno un loro schema sulla "nuova Irpef". Il piano M5S prevede la riduzione da 5 a 3 aliquote, il Pd insiste sulla via delle detrazioni per famiglie con figli. La Lega vuole la Flat Tax al 15%, Forza Italia la pretende al 23.
carlo freccero massimo giannini francesca fagnani
Sono testi diversi, in qualche caso opposti. Ma sono già scritti e pronti all'uso. Si tratta di scegliere cosa e come fare. Non servono altre inutili Task Force: ne abbiamo viste già troppe e non hanno supplito all'altrui indecisione, hanno ingenerato solo altra confusione.
Al ministero dell'Economia la competenza tecnica non manca. Quella che manca, evidentemente, è la volontà politica. Con un po' di coraggio lei può farsene carico, presidente Conte. Si dice sempre che al Paese serve uno "choc fiscale". Glielo dia, o l'Italia non si rialzerà dal suo letto di Procuste.
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