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Giorgio Gori per "Il Foglio"
La prima cosa che mi vien da pensare è che in fondo Grillo non ha tutti i torti. La tv è davvero, oggettivamente, il punto G di tanti politici. Diventano matti, per andare in televisione. Si scapicollano per combinare più ospitate nella stessa giornata, si dannano per conquistare lo spazio di una breve dichiarazione nel pastoni dei tg della sera. Mi vedono, quindi esisto.
Tendenzialmente si riconoscono dal modo in cui fissano la telecamera, memori del suggerimento (sbagliato) ricevuto da chissà quale consulente di comunicazione, inconsapevoli del disagio che quello sguardo fisso impone a chi senza colpa si trova dinanzi a uno schermo acceso in quel preciso momento. Non è affatto detto che andare in tv faccia bene a un politico.
Chi ci va troppo, e chi ci va male, farebbe molto meglio a seguire i consigli di Grillo e ad astenersi. Senonché Grillo non la racconta giusta. Grillo non va in tv - e lancia anatemi verso chi dei suoi vi si concede - perché la tv è la tv che va regolarmente da Grillo. Il successo del Movimento 5 stelle si deve, anche, molto, all'enorme e costante attenzione che la tv ha dedicato in questi anni a Grillo e al suo progetto politico.
Grillo sale su un palco e attacca, urla, strappa una risata, Grillo funziona, fa ascolto, ed ecco che la tv arriva - prigioniera del suo limitato orizzonte fatto di numeri e curve minuto per minuto. Grillo non è neppure costretto a seguire il copione di un altro, non deve rispondere alle domande, controlla il gioco come gli pare.
La tv abbozza e continua a parlarne. Che ragione avrebbe Grillo, finché butta così, per cedere alle reiterate richieste di partecipazione a questo o quel programma, per infilarsi nel percorso deciso da qualcun altro? (Evidentemente non è tutto: l'attacco a Favia o la reprimenda rifilata l'altro giorno a Federica Salsi nascondono la precisa volontà di mantenere il monopolio della rappresentanza del movimento. Il portavoce reclama e impone l'esclusività del proprio ruolo. I risultati di questi anni gli danno ragione, lui non fa sconti. Senza autorizzazione non si va da nessuna parte). Grillo teorizza: "Andare in tv è andare al proprio funerale".
Ha ragione o torto? Ho detto cosa penso del modo affannato e maldestro con cui alcuni politici fanno improprio e autolesionistico uso della propria immagine televisiva. Sarà anche per il diffuso sentimento di stanchezza e di insoddisfazione verso la classe politica che ha governato - con le stesse facce - negli ultimi decenni, ma è difficile trattenere un moto di fastidio nel vederle ancora e ancora, quelle facce, invecchiate, tradire incertezza o tracotanza, a seconda dell'ultimo refolo. Non sarà forse il funerale in diretta, ma certo andare in tv non fa loro bene, e tende anzi a esacerbare un già diffuso desiderio di switch-off.
Per alcuni non c'è scelta. Berlusconi per esempio. Essendo tutt'uno col mezzo, concepisce la tv come espressione esclusiva del fare politica. Le due cose coincidono. E in questo modo non può che dare rappresentazione impudica dei suoi anni, dei suoi trucchi e dei suoi rancori. Neppure a lui fa bene, ma intuisci che nel suo caso non c'è alternativa. Altri, più freschi, come Renzi, sfuggono al rischio di stancare alla prima inquadratura, e pur correndo a tratti il rischio della sovraesposizione, alternano con sapienza periodi di frequenti partecipazioni a periodi di ricercata assenza.
C'è una consapevolezza da "enfants de la télé", da ragazzi cresciuti a pane e tv, estranea a chi ha attraversato i deserti in bianco e nero della Prima Repubblica. C'è gusto della battuta, padronanza del dare-avere che si realizza con i diversi conduttori del talk politici. Io ti faccio fare ascolto, tu mi dai lo spazio e la visibilità che mi servono.
I più accorti sanno quando fermarsi, quando scomparire, che in fondo è il pezzo spendibile della "teoria" di Grillo - al di là dell'eccezione che Grillo rappresenta. Conoscono forse quella battuta di De Gaulle - "Niente rafforza l'autorità quanto il silenzio" - che da qualche parte ho trovato opportunamente riadattata, e mi sono appuntato: "L'assenza alimenta il carisma", recita. Ma vaglielo a spiegare, agli stakanovisti del talkshow.
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