DAGOREPORT - CON UN MINISTRO DEGLI ESTERI (E UN GOVERNO) ALL'ALTEZZA, CECILIA SALA NON SAREBBE…
Fabiana Magrì per “la Stampa”
«Il pentimento del lupo è la sua morte», dice un proverbio persiano. Lo scetticismo degli attivisti verso la propaganda di un regime tirannico, corrotto e che esercita una giustizia arbitraria, e verso i suoi proclami lasciati transitare alla vigilia della nuova mobilitazione nazionale in corso, si è rivelato ben riposto. Tanto che ieri il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Ejei ha annunciato la prossima esecuzione per impiccagione di un gruppo di rivoltosi.
L'agenzia di stampa statale Irna ha riportato le sue dichiarazioni a proposito del destino di un gruppo di persone arrestate durante le settimane di proteste. Secondo Amnesty International, si tratta di almeno 28 detenuti, tra cui tre minorenni. «I rivoltosi saranno impiccati presto», ha detto Ejei, specificando che i due capi di accusa della legge islamica iraniana per la sentenza di morte sono «muharebeh» (guerra contro Dio) e «fesad fel arz» (corruzione sulla terra).
Subito dopo, la Guardia rivoluzionaria ha rilasciato una dichiarazione all'agenzia di stampa semi-ufficiale Tasnim per elogiare la decisione della magistratura. Non è chiaro se i detenuti, che sono stati condannati formalmente, abbiano ancora il diritto di presentare ricorso.
L'ammonimento è evidentemente rivolto a chi provoca e partecipa alla rivolta popolare, a chi incoraggia altri ad aderire agli scioperi e alle mobilitazioni, e mira anche a intimorire chi osserva la situazione senza scendere in piazza. Uno dei più influenti riformisti iraniani, Abbas Abdi, ha messo l'accento, in un'intervista citata dalla testata indipendente britannica Iran International, proprio su questa «maggioranza silenziosa, importante ma trascurata».
Molti sondaggi che il governo non ha permesso di pubblicare, secondo quanto sostiene l'analista, indicano che il 60-80% della popolazione sostiene il movimento dei giovani, anche se non esplicitamente.
Constatato che le dichiarazioni sull'abolizione «momentanea» della polizia morale (questo significa l'aggettivo utilizzato, «tatil» in farsi, come osserva in un tweet la scrittrice Farian Sabahi) e su una prossima revisione della legge che impone il velo obbligatorio alle donne non hanno sortito l'effetto di placare l'ondata rivoluzionaria, le autorità mettono in chiaro che la revisione, casomai, andrà nella direzione di una maggiore severità.
«Il prezzo da pagare per chi non porterà il velo si alzerà», ha avvertito Hossein Jalali, un membro della commissione cultura del parlamento iraniano, in un video pubblicato dal quotidiano riformista Shargh durante un'assemblea di donne nella città di Qom. Allo stesso quotidiano, il capo del centro informazioni della polizia di Teheran, Ali Sabahi, ha precisato che «non è il momento di parlare di hijab», prendendo le distanze dal procuratore generale. «Con o senza hijab, stiamo andando verso la rivoluzione», hanno risposto ieri le studentesse riunite in un cortile di una scuola a Qods, nella periferia di Teheran.
Con la pioggia, con la luce o con il buio, i video di ieri sui social media mostravano strade vuote, saracinesche abbassate, negozi chiusi. È apparsa massiccia l'adesione alla prima giornata di sciopero nazionale nell'ambito delle proteste anti-governative in corso da settembre, dalla capitale alle periferie del Paese, a Sanandaj, Isfahan, Bushehr, Shiraz, Kerman, Ardebil, Mahabad, Orumiyeh, Kermanshah, Bojnurd, Karaj, Kangavar, Tabriz, Rasht.
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Gli scioperi hanno coinvolto anche autotrasportatori e lavoratori degli impianti petrolchimici di Mahshahr e delle acciaierie di Isfahan.Dimostrazioni e boicottaggio delle lezioni si sono visti in vari atenei dove domani, 7 dicembre, si festeggia la «giornata nazionale dello studente», a cui il presidente Ebrahim Raisi ha in programma di partecipare tenendo un discorso in una delle università del Paese. In serata i raduni hanno riempito di nuovo le strade e le piazze.
Lo slogan «Morte a Khameini» è stato il filo che li legava gli uni agli altri. Altre riprese hanno mostrato una folla riunita alla stazione Sadeghiyeh della metropolitana di Teheran urlare «Morte al dittatore». Gli agenti della polizia, intervenuti a disperdere l'assembramento, hanno arrestato una donna ma sono stati assaliti dai manifestanti che hanno cercato di liberarla.
Il ribaltamento tra aggrediti e aggressori è cavalcato dal clero iraniano nei sermoni del venerdì. L'imam di Teheran Ahmad Khatami, alto religioso sciita e membro del Consiglio dei Guardiani e membro anziano dell'Assemblea degli Esperti, va ripetendo che, secondo i principi religiosi, qualsiasi tentativo di indebolire il regime è «haram», proibito. Khatami ha sostenuto che una protesta è accettabile fino a quando la gente parla o scrive lettere e articoli e ha bollato i manifestanti come «assassini» che, pertanto, devono essere soggetti alla pena di morte.
Niente quindi indica che la situazione delle donne in Iran possa migliorare. L'ha osservato un portavoce del Dipartimento di Stato di Washington, rifiutandosi di «commentare affermazioni ambigue o vaghe» del potere iraniano. La Repubblica islamica, dal canto suo, ha criticato la richiesta di espellere l'Iran dalla Commissione Onu sullo status delle donne. «Teheran utilizzerà tutti i mezzi a sua disposizione per impedire questa misura illegale da parte degli Usa e degli europei che mira ad esercitare una pressione politica contro l'Iran», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani.
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