RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Michele Di Branco per “il Messaggero”
Dopo ben 8 anni di attesa, una platea di 2,8 milioni di pensionati si prepara finalmente a vedersi riconoscere l'aumento pieno dell'assegno sulla base dell'andamento dell'inflazione. Ad aprile arriva infatti un mini-incremento della rivalutazione per i redditi da pensione tra i 1.522 e i 2.029 euro lordi al mese (tra le tre e le quattro volte il trattamento minimo). La legge di Bilancio, ha ricordato ieri l'Inps, «ha introdotto un nuovo meccanismo di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici per il triennio 2019-2021, parzialmente diverso da quello applicato in occasione della prima rata di gennaio 2020».
LA FASCIA
La novità ha spiegato l'Istituto di previdenza consiste nella «eliminazione della fascia di rivalutazione delle pensioni comprese fra tre e quattro volte il trattamento minimo, che viene ora accorpata alla fascia di rivalutazione pari al 100% dell'indice di rivalutazione». Conseguentemente è stata effettuata una seconda operazione di rivalutazione solo per i pensionati i cui trattamenti complessivi si collocano nella fascia compresa fra 3 e 4 volte il trattamento minimo.
A questi pensionati, nel mese di aprile, saranno corrisposti anche gli arretrati da gennaio a marzo oltre l'adeguamento della relativa mensilità. In concreto si tratta di una manciata di euro per l'intero anno, visto anche l'andamento contenuto dei prezzi. Occorre ricordare che la manovra 2020 conferma, per il periodo 2020-2021, la una rivalutazione al 77% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese, del 52% per gli assegni tra 2.537 e 3.046 euro al mese, del 47% per gli assegni tra 3.046 e 4.061 euro al mese, del 45% per gli assegni tra 4.061 e 4.569 euro al mese, del 40% per gli assegni oltre 4.569 euro al mese.
MARCIA LENTA
Dal 2022 la rivalutazione sarà del 90% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese e del 75% per tutti gli assegni oltre i 2.538 euro. Insomma il governo, almeno per i pensionati a basso reddito, ha tolto il freno a mano alla macchina dell'indicizzazione all'inflazione. Ma la marcia, nei prossimi mesi, sarà lentissima e di certo non riuscirà neppure lontanamente a risarcire i soldi perduti a partire dal 2011, quando l'esecutivo Monti mise a dieta i pensionati.
PENSIONATI RITIRANO ALLA POSTA
Ben due interventi e una proroga hanno prodotto danni piuttosto considerevoli alle loro tasche: 44 miliardi di euro complessivi e la Uil calcola che la mancata rivalutazione infatti ammonterebbe, per il periodo tra il 2011 e il 2018, a 79 euro al mese, all'interno di una pensione di 1.500 euro lordi. Spalmati su 12 mesi, diventano mille euro ogni anno, una perdita pari quasi ad una mensilità, circa il 5,32% del trattamento pensionistico.
Se poi si tiene conto anche del blocco, per il 2019, stabilito dal governo Conte 1, c'è stata un'altra perdita di 94,62 euro ogni mese, corrispondente a 1.230 euro all'anno. La penultima di bilancio, infatti, ha introdotto un nuovo taglio della perequazione rispetto all'inflazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo (1.522 euro lordi al mese), per il triennio 2019-2021, riconoscendo una rivalutazione piena solo per gli assegni fino a tre volte il minimo, a scalare per quelli superiori (da un aumento pari al 97% dell'inflazione per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, al 40% per quelli oltre le 9 volte). Così, ad esempio, secondo la Uil, un pensionato che ha un trattamento di poco superiore al primo step, di 1.568 euro lordi mensili, ha accusato una perdita pari a circa 960 euro lordi annui.
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