PEZZI DI MERDOGAN - LA POLIZIA TURCA E’ PEGGIO DELL’ISIS: USATI IDRANTI E LACRIMOGENI PER DISPERDERE LE MANIFESTAZIONI DEGLI ODIATI CURDI CHE CHIEDEVANO AD ANKARA DI INTERVENIRE CONTRO I JIHADISTI - GIÀ 21 I MORTI

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1 - ISIS: ANCORA INCIDENTI ANCHE A ANKARA E ISTANBUL 21 I MORTI

(ANSA-AFP) - Continuano gli incidenti ad Ankara, Istanbul e in altre città della Turchia tra polizia e manifestanti curdi scesi in piazza per protestare contro il mancato intervento militare in Siria, dove i curdi sono assediati dagli uomini dello Stato Islamico. Fino a questo momento il bilancio è di 21 morti e decine di feriti.

PROTESTE ANTI ERDOGAN A BERLINO PROTESTE ANTI ERDOGAN A BERLINO

 

Nella capitale le forze dell'ordine hanno usato gas lacrimogeni e idranti per disperdere le dimostrazioni. Altri incidenti sono avvenuti in serata in diversi quartieri di Istanbul, oltre che a Smirne, Adana, Diyarbakir, Mardin, Van, Batman. Il premier Ahmet Davutoglu ha denunciato "i vandali" all'origine delle proteste che minacciano di far saltare il dialogo avviato con i ribelli curdi. "Faccio appello a tutti i miei concittadini a non lasciarsi sfruttare da gruppi marginali e ribadisco che l'ordine pubblico sarà ristabilito con ogni mezzo", ha detto in serata il primo ministro.

 

2 - TURCHIA: LA POLIZIA SPARA, STRAGE DI MANIFESTANTI CURDI

Marco Santopadre per Contropiano.org

 

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E’ con inaudita violenza che le forze di sicurezza turche stanno reprimendo la dura protesta delle comunità curde del paese, esplosa contro il premier Davutoglu e il presidente Erdogan che, dopo aver finanziato, addestrato, armato e ospitato i miliziani jihadisti dell’Isis in questi giorni stanno permettendo alle bande di Al Baghdadi di spazzare via la resistenza di Kobane e del Rojava senza muovere un dito.

 

Ed anzi, preparandosi ad invadere il nord della Siria con la scusa di combattere gli integralisti islamici, ma solo una volta che i suoi alleati del califfato abbiano fatto il ‘lavoro sporco’ contro le Unità di Difesa del Popolo (Ypg) e i combattenti del Pkk accorsi a difendere i propri compatrioti.

 

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Secondo le notizie attualmente a disposizione sarebbero finora almeno diciotto i manifestanti curdi ammazzati dalla polizia e dalla gendarmeria di Ankara in diverse città del Kurdistan turco. Ovunque siano state organizzate manifestazioni di massa e pacifiche contro la complicità del regime liberal-islamista turco con i fondamentalisti sunniti dello Stato Islamico la polizia ha reagito attaccando le proteste con idranti, gas lacrimogeni e pallottole di gomma.

 

Ad Istanbul in particolar modo sono stati numerosi i feriti tra i manifestanti. Tra questi un avvocato, identificato come Tamer Dogan, è stato portato in ospedale nel quartiere asiatico di Kadikoy, dopo una carica della polizia contro i manifestanti antigovernativi. Dogan aveva tentato di negoziare con la polizia prima dell'attacco, ha raccontato un giornalista del quotidiano di sinistra Radikal, ma è stato colpito in testa dalla spoletta di un lacrimogeno mentre tentava di farsi da parte. Guerriglia urbana e notte di scontri anche in altri quartieri della metropoli sul Bosforo, come

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Bagcilar e Gazi. Si contano a centinaia gli arrestati e i feriti in tutto il paese.

Ma è nelle città curde che la violenza degli apparati repressivi si è manifestata senza freni: otto persone sono state uccise ad Amed (Diyarbakir), la più grande città curda nel sud-est del Paese di fatto occupata da plotoni di soldati accompagnati da mezzi blindati.

 

Un giovane di 25 anni - Hakan Buksur - è stato ucciso da un proiettile a Vart, nella provincia di Mus; altri tre manifestanti sono caduti sotto il fuoco della polizia nella provincia di Siirt (l'ultimo, un 17enne che si chiamava Davut Nas), un altro nella vicina Batman, un altro ancora a Van; sulle altre vittime non si hanno ancora notizie precise.

 

Il regime turco ha imposto il coprifuoco in sei province del paese a maggioranza curda, compresa Amed, dove da giorni sono in atto dure proteste che hanno preso di mira edifici istituzionali, sedi del partito islamista Akp, caserme e commissariati, automobili e mezzi delle forze di sicurezza, banche ed altri interessi economici di Ankara. In decine di città del paese i manifestanti hanno eretto barricate incendiando suppellettili e pneumatici. In alcune località alla violenza della repressione alcuni gruppi di dimostranti con il volto coperto hanno risposto non solo con pietre e molotov, ma anche con colpi di arma da fuoco.

isis in siriaisis in siria

 

Significative le parole del ministro degli Interni, Efkan Ala, che ha accusato i manifestanti di “aver tradito il loro paese” e minacciato conseguenze “imprevedibili” nel caso di ulteriori proteste: “La violenza sarà affrontata con la violenza. Quest’attitudine irrazionale dovrebbe essere subito abbandonata e i manifestanti dovrebbero lasciare le strade”.

 

In alcuni casi a dar man forte alle forze di sicurezza contro i manifestanti curdi e gli attivisti delle organizzazioni della sinistra turca scesi in piazza, si sono visti anche degli uomini armati in abiti civili, a volte esponenti di squadracce dell'Akp, a volte di movimenti islamisti più radicali, contigui di fatto allo Stato Islamico, come Hezbollah (che non c'entra nulla con l'omonimo movimento sciita libanese), a volte esponenti delle cosiddette 'guardie di villaggio', una sorta di polizia complementare agli ordini delle autorità locali.

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Come ad Adana, dove quelli che alcuni media turchi chiamano sostenitori dell'Isis hanno aperto il fuoco contro i dimostranti.

 

Particolarmente veementi le proteste nelle province curde al confine con la Siria, come in quella di Mardin - e quindi con il Rojava curdo dall'altra parte della frontiera - dove da giorni migliaia di persone cercano inutilmente di passare dall'altro lato per dar man forte ai fratelli che si battono contro l'Isis ma scontrandosi con i militari turchi che impediscono il passaggio a suon di idranti e lacrimogeni, anche ai giornalisti occidentali.

 

Questa mattina la co-presidenza del Consiglio Esecutivo della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) ha rilasciato una dichiarazione che saluta la resistenza di massa del popolo curdo nel Kurdistan settentrionale e in Europa con le proteste contro gli attacchi a Kobanê e invia le condoglianze alle famiglie dei patrioti e dei rivoluzionari che sono morti. La KCK ha chiesto al popolo di continuare la sua lotta: “La nostra gente deve continuare la loro giusta e legittima lotta fino a quando verrà ottenuta la vittoria. I milioni [di persone] non devono ritirarsi dalle strade e dalle zone in lotta e aumentare la lotta, nella consapevolezza che ogni passo indietro sarà pagato a caro prezzo nei giorni e nei mesi a venire.”