DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
«I giorni del miracolo cinese? Sono finiti». L'allarme suona tra i grandi marchi internazionali del lusso, che in questi anni di crisi in Occidente hanno resistito bene grazie al mercato della Repubblica Popolare diventata seconda economia del mondo. Da giugno dell'anno scorso è stata registrata una frenata che in alcuni settori ha toccato il 30-40 per cento. I motivi sono complessi: vanno dal rallentamento fisiologico nella crescita della Cina, fino alla nuova situazione politica, con «l'effetto Xi e signora».
Il primo segnale è venuto l'anno scorso a giugno: le vendite nell'alta moda e luxury goods hanno cominciato a declinare. Perché? «Erano i giorni in cui la leadership di Pechino preparava il grande ricambio al vertice, con l'elezione del nuovo politburo e del segretario generale del partito comunista», dice Lelio Gavazza, esperto del settore e membro di Osservatorio Asia. «In pratica, c'era incertezza su quali funzionari fossero destinati a salire e quali a scendere, quindi i cinesi non sapevano chi dovessero ingraziarsi facendo regali costosi».
Poi è cominciata l'era di Xi Jin-ping e come primo atto il nuovo segretario generale, nonché capo dello Stato, ha lanciato una campagna anti-corruzione e contro le «spese stravaganti» dell'enorme apparato burocratico del Paese. E la frenata si è consolidata. Nel primo trimestre del 2013 la crescita del Prodotto interno lordo si è fermata al 7,7%.
Era stata del 7,9% nel trimestre precedente. La flessione dello 0,2% ha mandato in fibrillazione gli uffici studi. Secondo il dottor Lu Ting della Bank of America Merril Lynch «il fattore che più ha inciso sulla flessione» sarebbe proprio la nuova moderazione dei funzionari di partito e pubblici: «10 milioni di loro hanno carte di credito governative con le quali in media spendevano 5.800 dollari l'anno. Il totale fa 58 miliardi di dollari».
Possibile che sia bastato il richiamo all'ordine del presidente, per quanto carismatico possa essere, a tagliare gli acquisti nella gran palude della burocrazia? Il monito di Xi Jinping ha scatenato i cittadini comuni, soprattutto quelli della classe media, che si sono messi a caccia di corrotti e spendaccioni.
Due casi di questi giorni: il segretario del partito in una zona terremotata del Sichuan è stato fotografato nelle zone del disastro, non aveva l'orologio, ma sul polso c'era un'impronta chiara. I bloggers hanno fatto ricerche e hanno rilanciato immagini in cui il compagno Fang Jiyue sfoggiava (pare) un Vacheron Constantin da 20 mila euro. Un altro episodio da caccia alle streghe anti-corruzione, che ricorda anche la Rivoluzione Culturale: il boss del partito in una città del Jiangsu sorpreso mentre faceva baldoria in un locale notturno, che ha preso un megafono, si è inginocchiato e ha invocato pietà . Lo hanno rimosso comunque.
Ma il malcostume occupa solo una frazione del mercato. Un altro problema è che ai cinesi cominciano a piacere nuovi marchi del lusso oltre a quelli europei, sta emergendo il created in China da stilisti locali. E qui entra in gioco la moglie del presidente Xi, l'affascinante signora Peng Liyuan, che sta facendo da traino mostrandosi in pubblico con i suoi vestiti disegnati a Shanghai.
Daniel Jeffreys, direttore di Quintessentially Magazine, bibbia del fashion per milionari, racconta di aver fatto un sondaggio: oltre il 70% dei loro clienti pensa che entro cinque anni il created in China sfiderà le griffe straniere. Ma i cinesi hanno il know how, la conoscenza per produrre in proprio in questo campo? «Presto - prevede Jeffreys - Pechino dovrà giocare secondo le regole, mettendo fine all'industria del falso: a quel punto milioni di lavoratori e artigiani che ora replicano Gucci, Dior, Louis Vuitton, dovranno essere riciclati e produrranno oggetti e abiti di qualità pensati qui».
Ultimo problema: i cinesi sanno che molti gadget occidentali vengono venduti sul loro mercato a prezzi gonfiati. Il Wall Street Journal accusa Mercedes, Bmw e Audi di far pagare in Cina le loro berline di alta gamma il 64% in più rispetto agli Usa. Auto che pure sono prodotte da operai cinesi, in fabbriche cinesi.
Giocano sui prezzi anche le griffe: per esempio la borsetta Joy Boston di Gucci qui costa 881 euro, in Europa 545 (+62%); la Speedy di Louis Vuitton a Pechino viene 746 euro, nella Ue 540 (+34%): Addio vecchia Europa? «No, i cinesi hanno cominciato a viaggiare, 100 milioni di turisti quest'anno: con le nostre capacità e i prezzi che nelle nostre boutiques sono più competitivi, possiamo convincerli a comprare da noi quegli orologi, scarpe, borse, vestiti che fino ad ora hanno trovato solo in Cina», prevede Osservatorio Asia.
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