FLASH! - IL DAZISTA TRUMP, PER SPACCARE L'UNIONE EUROPEA A COLPI DI TARIFFE SUI PRODOTTI ESPORTATI…
1. GRECIA, GIAVAZZI: "VOGLIONO RESTARE POVERI, LASCIAMOLI ANDARE"
(askanews) - Eurolandia deve rassegnarsi: i 400 miliardi prestati alla Grecia "non verranno mai restituiti". Perché "ormai è evidente che i greci non hanno nessuna voglia di modernizzare la loro società. Hanno scelto la povertà. E bisogna lasciarli andare per la loro strada". E' il giudizio "tranchant" di Francesco Giavazzi, con un editoriale sul Financial Times in decisa controtendenza rispetto alla tendenza generale a sollecitare una intesa che consenta di sbloccare nuovi aiuti al Paese.
Sono più di cinque anni che il caso Grecia è stato in cima all'agenda comunitaria. Ma si tratta di una economia che vale l'1,8 per cento del Pil dell'area euro. "Sarebbe interessante - osserva l'economista bocconiano - calcolare quante ore gli ha dedicato la cancelliera Angela Merkel" piuttosto che occuparsi di tematiche di portata planetaria, come le trasformazioni di Paesi come Cina e India, o la minaccia dell'Isis. "Come se nei passati cinque anni nell'agenda del presidente Usa Barack Obama ci fosse stato poco altro a parte il Tennesee. E' esattamente quello che è accaduto in Europa".
FRANCESCO GIAVAZZI - DALLA SUA PAGINA FACEBOOK
Basta così, afferma Giavazzi. "Quel che è fatto è fatto. Non sta all'Europa imporre riforme alla Grecia. In cinque anni di negoziati praticamente l'unico risultato è stata una piccola riduzione del ridondante settore pubblico che peraltro è stata invertita dal governo Syriza". E la popolarità di cui il movimento guidato da Alexis Tsipras continua a godere, dopo sei mesi di assenza di risultati, "significa che i greci vogliono restare un Paese a basso reddito procapite, la metà dell'Irlanda, meno della Slovenia. Basta garanzie Ue: l'unico modo per la Grecia di raccogliere fondi deve essere convincere i mercati a prestarglieli".
Tanto tenere la Grecia nell'euro non servirebbe a tutelare i crediti nei suoi confronti: "ormai sono persi. Né ci sono rischi di contagio: grazie alle azioni della Bce - conclude Giavazzi - oggi l'Unione monetaria è sufficientemente resistente da reggere ad una sua fuoriuscita".
2. STIGLITZ: «SE ATENE USCIRÀ, ALTRE CRISI SEGUIRANNO»
Pierangelo Soldavini per "Il Sole 24 Ore"
«Sarebbe un errore imperdonabile se la Grecia fosse costretta a uscire dall’euro: a poco più di dieci anni dalla sua nascita, la prima vera crisi della moneta europea non può arrivare a questo risultato che segnalerebbe la fine della solidarietà tra i Paesi del continente e indurrebbe un clima di sfiducia che aprirebbe la strada a nuove crisi».
Non usa mezzi termini Joseph Stiglitz, professore alla Columbia University e premio Nobel per l’economia 2001, nel giudicare la situazione di stallo tra Atene e Bruxelles sul pacchetto di aiuti: «Davvero non riesco a capire la strategia dell’Europa: sono molto preoccupato del fatto che ci si limiti ad applicare un modello rigido fatto solo di austerità, con il risultato di mettere a repentaglio il futuro di molti Paesi, dalla Spagna alla Grecia all’Italia, arrivando non solo a sprecare le potenzialità in termini di capitale umano, ma anche a provocare un pericoloso indebolimento della democrazia».
Stiglitz ha firmato proprio pochi giorni fa un appello di economisti e intellettuali europei per chiedere uno sforzo che eviti questo rischio arrivando a un compromesso per un nuovo pacchetto di finanziamenti ad Atene evitando il peggio: «Condannare l’austerità non vuol dire essere contro le riforme», si afferma nell’appello pubblicato settimana scorsa sul Financial Times. In ogni caso non bisogna essere arroccati su modelli che hanno dimostrato di non funzionare, spiega l’economista a Milano, in occasione dell’inaugurazione del centro di ricerca dell’Università Cattolica “Complexity Lab in Economics”: «La Grecia ha anche fatto notevoli progressi dal punto di vista fiscale, ma le ricette di austerità hanno provocato una contrazione del 25% del Pil greco, il contrario di quello che la troika si auspicava con quelle misure».
YANNIS DRAGASAKIS E VAROUFAKIS
La ricetta per l’Eurozona sarebbe «una manovra organica e complessa che affronti diversi temi, una riforma di Eurozona che punti a una vera unione bancaria, a garanzie uniche sui depositi, alla possibilità di emettere eurobond, a una politica industriale integrata e soprattutto al cambiamento di statuto della Banca centrale europea che metta tra i suoi obiettivi anche occupazione e crescita, non solo la stabilità dei prezzi», aggiunge. D’altra parte, sottolinea nel corso del suo intervento, il progetto europeo è stato concepito in una logica di integrazione, mentre «oggi si trova a dover affrontare una divergenza nei flussi di capitali tra i paesi deboli e quelli forti».
angela merkel yanis varoufakis
I modelli economici devono insomma essere applicati in maniera dinamica, anche perché la crisi finanziaria ha dimostrato che tutti i modelli economici classici hanno fallito: «L’interconnessione ha reso l’intero sistema più volatile e vulnerabile in un processo alimentato dalle asimmetrie informative che hanno portato i singoli soggetti del mercato a ignorare gli effetti dei comportamenti altrui». La crisi ha infatti enfatizzato il ruolo e la complessità delle reti finanziarie: come in un network elettrico, l’eccesso di capacità può essere assorbito, ma un blackout singolo finisce per coinvolgere tutto il sistema: «Le reti ben disegnate – afferma il premio Nobel – hanno degli interruttori che evitano effetti a cascata. Bisogna trovare soluzioni analoghe anche per il sistema finanziario».
3. KRUGMAN: 'CHI PENSA CHE LA GREXIT SIA MEGLIO PER TUTTI, COMPIE UN ERRORE MADORNALE'
Paul Krugman per “The New York Times” pubblicato da “la Repubblica”
In linea generale, le autorità statunitensi sono sempre caute nell’intervenire nei dibattiti politici europei. L’Unione europea, dopo tutto, è una superpotenza economica a pieno titolo. Di conseguenza, è assai stupefacente apprendere che Jacob Lew, segretario del Tesoro, poco tempo fa ha messo in guardia gli europei, dicendo loro che avrebbero fatto bene a risolvere al più presto la situazione della Grecia, pena andare incontro a un devastante “infortunio”.
Tuttavia, io capisco perché Lew ha detto quello che ha detto. Un’uscita forzata della Grecia dall’euro provocherebbe enormi rischi a livello economico e politico. Eppure, l’Europa sembra incamminata come una sonnambula proprio verso quel risultato.
Sì, ammetto che la mia allusione al recente ottimo libro di Christopher Clark sulle origini della Prima guerra mondiale intitolato “The Sleepwalkers” (I sonnambuli) è intenzionale. In quello che sta accadendo si avverte una sensazione che ricorda da vicino e chiaramente il 1914, la sensazione che arroganza, risentimento e mero errore di calcolo stiano conducendo l’Europa verso un baratro dal quale avrebbe potuto e dovuto tenersi lontana. Il punto è questo: è piuttosto chiaro quale debba essere il contenuto di un accordo tra la Grecia e i suoi creditori.
La Grecia non riceverà un afflusso netto di capitali. Nel migliore dei casi, Atene riuscirà a rinegoziare un prestito per parte degli interessi sul suo debito attuale. D’altro lato, la Grecia non potrà e non vorrà restituire l’intero importo degli interessi in scadenza, e tanto meno ripagare il suo debito, perché ciò richiederebbe una nuova rovinosa fase di provvedimenti di austerità che assesterebbero un grave danno economico e sarebbero politicamente inaccettabili in ogni caso.
Dunque conosciamo quale sarebbe l’esito di una rinegoziazione di successo: la Grecia sarebbe costretta a gestire un’eccedenza primaria positiva, benché minuscola, ovvero un eccesso di entrate sulle spese, al netto degli interessi. Qualsiasi altra cosa dovrebbe riguardare il contesto e la presentazione. A quale mix si arriverà sommando i tagli ai tassi di interesse, la riduzione del valore nominale dell’indebitamento e la riprogrammazione dei pagamenti? E in che misura adesso la Grecia delineerà i propri piani di spesa invece di concordare gli obiettivi d’insieme e aggiungere i dettagli in un secondo tempo?
Nel frattempo, l’alternativa — in sostanza che la Grecia resti a secco di euro e sia costretta a reintrodurre la sua valuta nel pieno di una crisi bancaria — è ciò che tutti dovrebbero voler evitare. Invece, tutte le fonti confermano che i negoziati stanno andando male e che esiste una possibilità molto concreta che si possa arrivare al peggio. Come mai le parti non riescono a raggiungere un accordo di reciproco beneficio?
In parte per reciproca diffidenza. I greci, a buon motivo, hanno la sensazione che per anni la loro nazione sia stata trattata alla stregua di una provincia espugnata, amministrata da proconsoli indifferenti e incompetenti. Nel frattempo, le istituzioni della controparte considerano i greci inaffidabili e irresponsabili. In parte ciò riflette, credo, l’inesperienza della coalizione di outsider arrivata al potere soltanto grazie al fallimento dell’austerity ma, dati i trascorsi della Grecia, è altrettanto facile capire perché è così difficile fidarsi delle sue promesse di riforma.
In ogni caso, pare quasi di essere in presenza di qualcosa di più della mancanza di fiducia. Alcuni attori di primo piano sembrano inspiegabilmente fatalisti, quasi desiderosi e addirittura impazienti di veder arrivare la catastrofe — una sorta di versione moderna dello “spirito del 1914” che pervase molti popoli, resi quasi entusiasti dalla prospettiva di un conflitto. Questi attori si sono convinti che il resto d’Europa possa scrollarsi di dosso l’uscita della Grecia dall’euro come se niente fosse, e che essa possa anzi avere addirittura un effetto benefico.
Costoro, però, stanno commettendo un errore madornale. Le tutele finanziarie che si suppone possano contenere i contraccolpi della Grexit non sono state mai collaudate, neppure sul breve periodo e potrebbero benissimo portare a un buco nell’acqua. Infine, i greci non sono gli unici europei a essere stati radicalizzati dal fallimento della politica. In Spagna, per esempio, il partito Podemos, contrario all’austerità, ha appena vinto le elezioni locali con ampio margine.
renzi tsipras rutte juncker all eurogruppo
Sotto alcuni punti di vista, ciò che i difensori dell’euro dovrebbero paventare maggiormente non è tanto una crisi quest’anno, quanto ciò che accadrà una volta che la Grecia avrà iniziato a riprendersi e sarà diventata il modello da seguire per le forze anti-establishment di tutto il continente.
Non è indispensabile che accada niente del genere. Tutti gli attori al tavolo delle trattative coltivano buone intenzioni. In pratica, tra la Grecia e i suoi creditori non c’è neppure un conflitto di interessi: come ho detto, sappiamo bene che cosa potrebbe prevedere un accordo di reciproco beneficio. Ma lo si potrà raggiungere? Lo scopriremo molto presto.
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