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Ilario Lombardo per “la Stampa”
È come se una cortina di nebbia fosse scesa sulla trattativa tra Lega e M5S e Luigi Di Maio stesse remando inseguendo la flebile luce di Matteo Salvini, senza sapere dove lo sta portando. «È in una campagna elettorale permanente...» informa i suoi collaboratori Di Maio, scoraggiato. Non esclude che il leghista stia meditando la rottura ma è costretto a fidarsi di Salvini perché il gioco è andato troppo avanti.
Bisogna indagare più a fondo la diversa natura delle due metà di questa quasi-alleanza, però, per capire meglio perché l' ottimismo che regna tra i 5 Stelle non trova una corrispondenza tra i leghisti. Di Maio vuole andare al governo, vede la meta a portata, tema l' ascesa del Carroccio nei consensi.
Salvini ha una coalizione a cui rendere conto, Silvio Berlusconi che lo osserva da fuori e la chance elettorale come piano B. Di Maio si è ritagliato un abito più accettabile in Europa, garante dei conti, della moneta unica e ha un ottimo feeling con Sergio Mattarella. Salvini vuole sfidare l' Europa, propone un approccio più radicale, preferisce l' incognita delle sue ricette e non ha gradito quando Mattarella, lunedì, gli ha fatto presente i rischi dell' abolizione della Fornero e della rimessa in discussione dei parametri Ue.
I grillini sono disorientati, anche perché, visto dal M5S,il lavoro sul contratto al tavolo sta andando a gonfie vele. I leghisti frenano invece l' ottimismo. Filtrano le preoccupazioni sui capitoli ancora aperti di immigrazione, bilancio e soprattutto grandi opere. La fronda veneta, lombarda e ligure considera vitali le infrastrutture. I grillini invece sventolano la bandiera dell' ambientalismo. Ai gazebo dei leghisti, nel weekend, rispondono i 5 Stelle con altri gazebo. Perché siano gli elettori a prendersi la responsabilità di promuovere o bocciare il contratto. Sempre se ci si arriverà al weekend.
LA SPINA DEL NOME
Il contratto è un argomento perfetto per rinviare la grande incognita che si agita sullo sfondo: chi sarà la guida di questo governo, l' esecutore del programma condiviso? Di Maio e Salvini fanno finta di non aver promesso da Milano un nome definitivo al Colle. Se ne infischiano delle contraddizioni. «Non è un problema di nomi ma di temi, ci sono alcune cose ancora da chiarire» dice Di Maio tornato dall' incontro con Salvini avuto in un luogo segreto.
PALAZZO CHIGI CONSIGLIO DEI MINISTRI
«Non si sta litigando sui posti, sulle poltrone. Stiamo lavorando sui temi» è l' eco di Salvini, subito dopo: «O si parte o è voto». L' ordine di entrambe le scuderie è di evitare almeno per un giorno la trappola del totonomi. Ma è quasi inutile. Dal M5S insistono sul nome del civilista Giuseppe Conte, l' unico di cui hanno parlato a Mattarella, ma già non ci credono più. «La Lega non lo vuole» ammettono. Salvini aveva dato disponibilità a parlarne. Fino a ieri. Un altro terzo nome non c' è. E sembra che non sia più all' ordine del giorno.
Anzi, riemerge l' idea di riaffermare una guida politica. «La mediazione sul premier è difficile ma la nostra speranza resta Salvini» ammette Lorenzo Fontana, vicesegretario della Lega, l' uomo delegato al pessimismo di queste ore, il deputato che rivendica Palazzo Chigi come unica garanzia per il programma. Ma il ragionamento che fanno nel M5S è identico. Se non si trova un altro nome, non restano che Salvini e Di Maio, e loro vorrebbero Di Maio.
La via d' uscita? La staffetta, una suggestione che cresce nel M5S, disponibili a parlarne per decidere chi far partire prima. L' alternativa, altrimenti, è una sola: mettere in chiaro che le divisioni dei ministeri dovranno seguire uno schema preciso: chi non prende la presidenza del Consiglio, si aggiudica la delega ai servizi (dove è in pole Giancarlo Giorgetti) e il ministero dell' Interno. È l' unica possibilità che si darebbe Salvini per vedere Di Maio a Chigi, sempre che vada bene a Mattarella.
DUBBI SUGLI ALLEATI
il palazzo della commissione europea a bruxelles
È al Quirinale, infatti, che qualcosa si è incrinato. È stato lì che Salvini ha alzato la posta e chiesto ai 5 Stelle una prova di lealtà. In un gioco di distanze e convergenze, entrambi i leader, ieri, scelgono di parlare al proprio popolo dai social network. In momenti diversi però. Di Maio prima dell' incontro. Salvini, dopo. Ma è quest' ultimo a dire qualcosa che spiega perché il grillino nel pomeriggio aveva tirato fuori il suo volto più duro contro «qualche eurocrate non eletto da nessuno che si permette di parlare contro 17 milioni di persone».
Salvini indica la necessità di «un esercito» per combattere «i tanti nemici nelle stanze del potere a Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma». Poi chiede «coerenza» nell' insieme delle proposte. L' esercito è l' alleanza M5S-Lega, se mai ci sarà, che deve essere granitica. «Cosa vuoi fare, Luigi, sei con me o vuoi continuare a fare l' amico dell' Europa?».
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